
di Alessia Lombardo
Sei anni di sofferenza e «omertà» alla ricerca di una verità forse troppo oscura per venire a galla. Un caso prima chiuso e poi riaperto per minacce rivolte ai familiari. La scomparsa di Marina Arduini è uno dei tanti gialli irrisolti della cronaca italiana. Poco mediatico rispetto ad altri casi, divenuti dei veri e propri appuntamenti fissi nei salotti televisivi, forse proprio perché non deve far rumore. Eppure i familiari, che non hanno mai creduto nella scomparsa volontaria, vogliono far luce su un possibile sequestro con uccisione. I mille interrogativi dei cari non hanno trovato risposte, fatta eccezione per il classico «stiamo lavorando».
Manuel, nipote di Marina, non si rassegna e sulle pagine del IlCapoluogo.it lancia un nuovo appello per conoscere la verità su sua zia, invitando anche i lettori a firmare una petizione. «Non ci arrediamo nella lotta contro un muro di omertà. Le persone che continuano a tacere hanno le mani più sporche degli assassini».
Manuel – vissuto con la propria famiglia in Abruzzo, prima in Val Vibrata poi a Teramo – riporta le parole pronunciate da una sensitiva: Marina, che non ha mai avuto un legame con la nostra regione ed è sempre vissuta a Frosinone, sarebbe seppellita nel Parco Nazionale, nei pressi di Barrea. Dichiarazioni che lasciano il tempo che trovano soprattutto per il clima rigido della zona nei mesi più freddi dell’anno. Le betulle potrebbero davvero indirizzare verso la soluzione del caso?
{{*ExtraImg_133999_ArtImgLeft_227x300_}}LA SCOMPARSA DI MARINA – Scomparsa da Frosinone il 19 febbraio 2007, Marina aveva 39 anni ed era proprietaria per il 50% di uno studio commercialista. La mattina della scomparsa avvisò l’ufficio che avrebbe fatto tardi perché avrebbe dovuto sporgere denuncia in Questura – dove non arrivò mai – perché qualcuno si era introdotto nel proprio ufficio senza portare via nulla.
Il cellulare agganciò prima una cella nei pressi di Frosinone, poi venne localizzato a Formia e successivamente a Salerno. Una testimone riferì di averla avvistata alla stazione di Roma Termini, ma la descrizione dell’abbigliamento non coincideva.
Un rappresentante dello studio a pochi giorni dalla scomparsa chiese ai familiari della donna se avessero ritrovato l'[i]hard disk[/i] del computer e se fossero stati in possesso di cd-rom e documenti d’ufficio. La scrivania della donna fu ripulita accuratamente come se Marina non fosse mai stata lì.
Qualcuno chiese un finanziamento a nome della trentanovenne in favore di un negozio di un amico dell’ex compagno di Marina. Le firme sui documenti risultarono false.
Con una telefonata anonima alla Caserma dei Carabinieri di Cinecittà dopo due anni venne ritrovata l’automobile della donna, che non sarebbe mai stata esaminata.
Ci fu la chiusura delle indagini, ma nel 2012, dopo l’introduzione di qualcuno nella casa dei genitori di Marina, seguita da una telefonata anonima di minacce – «vi ammazziamo tutti» – vennero riaperte dalla Procura di Frosinone. C’è un principale indagato, ma negli interrogatori affermò di non conoscere Marina.
{{*ExtraImg_134000_ArtImgCenter_500x330_}}
Manuel sono passati sei anni dalla scomparsa di sua zia. A che punto sono le indagini?
«Non sappiamo nulla, soltanto che circa due mesi fa sono state tolte ai Carabinieri. Non sappiamo a chi sono state assegnate. Sono sei anni che non ci dicono nulla, fatta eccezione della frase ‘stiamo lavorando’».
Le indagini furono riaperte dopo l’introduzione nel 2012 di qualcuno nella casa dei genitori di sua zia. Il giorno dopo arrivò una telefonata anonima: «vi ammazziamo tutti». Sono seguite altre minacce?
«No, soltanto un’altra telefonata ambigua dopo la messa in onda di una trasmissione locale che parlava di mia zia. Ha risposto al telefono mia nonna e una voce aggressiva che non scherzava ha detto ‘passami Marina’. Il tono era minaccioso».
Che idea vi siete fatti sulla scomparsa di Marina?
«Abbiamo avuto molte sensazioni. Sicuramente si tratta di un caso molto difficile. Si è partiti male e in ritardo perché non volevano sopperire alle indagini. Si parla sempre dell’hard disk del computer di mia zia, ma si parla meno del portatile scomparso».
Sua zia è sempre stata a Frosinone. Però in questa storia con mille ombre c’è anche l’Abruzzo…
«Una sensitiva del Piemonte ci ha detto che mia zia teoricamente si trova in Abruzzo, nel Parco Nazionale. È sepolta vicino alle betulle. Ovviamente non c’è stato nessun riscontro e la cosa appare davvero difficile. Le betulle potrebbero essere ovunque. La zona vicino Barrea, il 19 febbraio, sicuramente non era facilmente raggiungibile per la neve».
Avete lanciato una petizione on-line. A che punto siete?
«Abbiamo finora raccolto 1.600 firme sul blog http://cerchiamomarina.blogspot.it. Qui si possono trovare tutte le informazioni sul caso di mia zia, racconti e articoli di giornale. Invito tutti a firmare la petizione per arrivare alla verità».
Quello di Marina Arduini non è un caso mediatico. Vi siete chiesti perché?
«Sì, ma non sappiamo neanche rispondere a questa domanda. Forse perché nell’anno in cui è successo tutto abbiamo sentito la popolazione lontana, siamo rimasti soli a cercare la verità. Sono stati anni di omertà e dolore. Le stesse persone informate sui fatti hanno parlato tardi o ancora non lo hanno fatto».
Qual è la prossima cosa che farete?
«Il 15 giugno a Frosinone stiamo organizzando una manifestazione per gli scomparsi del Lazio per sensibilizzare la popolazione e per far prevenzione per i familiari. È organizzata dalla Penelope Lazio, associazione di cui faccio parte».
Vi resta qualche speranza di trovarla viva?
«La speranza non c’è mai stata sin dall’inizio. Mia zia era una persona decisa, testarda, ci diceva tutto. La scomparsa è dubbia. Secondo noi è stata attirata in un luogo sequestrata e uccisa. Nelle indagini si è anche parlato di sequestro con successivo omicidio. Invito chiunque sappia qualcosa, anche in forma anonima, a contattarci alla mail cerchiamomarina@gmail.com. Non ci arrediamo nella lotta contro un muro di omertà: le persone che continuano a tacere hanno le mani più sporche degli assassini».