
di Gioia Chiostri
La grande diffusione della lucetta per la notte è una delle testimonianze più lampanti che parlano di paura del buio. Ogni bambino ha sofferto di questa strana fobia, che porta a non voler mai dormire da solo nella propria cameretta, e ha cercare sempre il tocco rassicurante della mamma o del papà.
Tutti, inoltre, da bravi genitori quali pensiamo di essere, impariamo quanto sia faticoso ascoltare le comunicazioni con cui i bambini ci segnalano le loro paure: è difficile ascoltarle, nella misura in cui ci risulta difficile identificarsi davvero con il bambino che esprime paura. Da piccoli si vedono mostri nascosti nell’armadio, si sentono rumori nella notte e si crede di essere sempre in pericolo, vittime di un’oscurità malvagia.
Quando ci troviamo di fronte un bambino impaurito, bisognerebbe ascoltare in maniera empatica il suo racconto, bisognerebbe offrire consolazione, dare soluzioni, distrarre il piccolo, spiegare che non c’è nulla da temere. Facciamo tutto questo prima ancora però di avvicinarci alla paura vera dei bambini o degli adolescenti.
Solitamente, infatti, l’adulto è mosso dall’urgenza di agire senza invece prima analizzare le paure dei bambini; si salta troppo spesso la fase fondamentale della condivisione emotiva. Per molti adulti sarebbe troppo doloroso avvicinarsi alla paura, ad esempio, dell’uomo nero perché potrebbe riattivarsi il confronto con la paura e con la debolezza presenti nell’adulto stesso.
Quando un bambino dice di vedere una strana creatura nel buio, la vede veramente! Ed è assolutamente inutile dirgli che non esiste. Misconoscere, minimizzare o colpevolizzare una paura che ha una propria consistenza emotiva nella soggettività del bambino, è del tutto controproducente. Inutile dire frasi del tipo ‘dai, ormai sei grande! È ridicolo avere paura di qualcosa che non esiste!’, meglio un abbraccio. Meglio ascoltare il racconto del bimbo, e cercare di intuire il perché, la causa originaria della paura. Non si tratta di promettere le coccole come mezzo che elimini la paura, ma come strumento in grado di accompagnare un tentativo affettivo di condividerla e comprenderla.
Tutti i bambini che manifestano paure soggettivamente rilevanti hanno, in realtà, un disperato bisogno di essere riconosciuti nelle loro emozioni, nei loro sentimenti che sono sempre indiscutibili. Poi, in un secondo momento, le nostre spiegazioni razionali potranno anche essere efficaci. Ma, prima di tutto, è fondamentale che ci sia un riconoscimento emotivo che aiuta i bambini nella regolazione delle loro emozioni di paura.
Solo così il bambino sente finalmente di averla condivisa, divisa insieme ad un’altra persona e si sente finalmente capito per davvero. Spesso la difficoltà ad accettare le paure dei bambini risponde ad una strategia difensiva di fronte alle nostre stesse paure infantili. L’intolleranza del genitore nei confronti di alcune paure del figlio risponde, cioè, ad un’intolleranza del genitore nei confronti delle proprie componenti infantili.
L’impegno di una mamma o di un papà ad accettare e ascoltare la paura dei propri figli, invece di continuare a pretendere di eliminarla, ha favorito l’incontro con parti infantili insite in sé, che chiedevano di essere ricordate ed integrate. D’altra parte ’ascolto del bambino che rimane nella mente dell’adulto diventa il mezzo per poter ascoltare il bambino che ci possiamo trovar di fronte. Si attiva un impegnativo sforzo di identificazione: ci si avvicina al bambino e si arriva a scoprire che anche noi siamo stati vittime della paura del buio per un qualche motivo ignoto. Questo tipo di comunicazione sblocca ulteriormente la situazione: il bambino comincia ad aprirsi parlando finalmente in modo approfondito della propria paura.
Si tratta di una comunicazione empatica, emotiva che presuppone la capacità dell’ascoltatore di essere sensibile, cioè di riuscire a sentire e decifrare le emozioni altrui.