
di Christian Mariano Colombo
La speranza, per sua stessa definizione, è uno stato d’animo di fiducia verso qualcosa che si considera di possibile realizzazione.
La velleità, invece, è un’aspirazione che non ha possibilità di attuazione.
Sembra proprio che questa nostra bella città, stia percorrendo la sua via crucis da speranza a velleità.
Ho sentito bocche riempirsi di nostre presunte peculiarità culturali, tanto da chiedere a gran voce l’elezione, quasi per divina designazione, a Capitale Europea della Cultura.
Ebbene, ieri sera, 18 maggio, alle ore 21 nella Piazza di San Bernardino, si è svolta una performance gratuita dal titolo “Sound Rebuilding”, realizzata da 4 studenti dell’IED di Milano (Istituto Europeo di Design – www.ied.it, ndr), università il cui prestigio è riconosciuto in ambito internazionale.
Il progetto di Tesi di Pietro Ferrari, Ilaria Bertuetti, Paolo Pacucci e Lorenzo Spagnolo, diplomandi in Sound Design allo IED Milano, con il coordinamento dei docenti Federica Colombo, Gak Sato, Marco Zangirolami e Simona Barbieri traeva origine dalla consapevolezza del valore e del ruolo che il suono ha nella vita di tutti i giorni, dalle sensazioni, emozioni e ricordi che la musica è in grado di suscitare in ognuno di noi.
Da questo trovava realizzazione un [i]live[/i] composto da musica prodotta con strumenti digitali e analogici, integrati ad elementi sonori caratteristici della città. a comporre un paesaggio sonoro ed una colonna sonora che tentavano di raccontare L’Aquila in tre fasi: la normalità prima del terremoto, la condizione attuale, un’ipotesi di ricostruzione futura.
Un evento che non ha trovato pubblicità né aiuto alcuno dall’amministrazione comunale, informata a tempo debito, e che pure a parole aveva manifestato il proprio interesse alla performance ed alla sua realizzazione, limitatasi poi nei fatti al solo rilascio nei permessi necessari. E credo che almeno un piccolo ringraziamento dall’assessorato alla cultura, se non dal primo cittadino, sarebbe stato doveroso.
Un’ulteriore occasione mancata, per ascoltare qualcosa di nuovo e diverso e premiare, in qualche misura, l’intenzione di quanti si sono avvicinati alla nostra precaria situazione, tentando con i mezzi a loro disposizione, con le arti a loro più consone e con responsabilità e sacrificio, di collaborare ad una rinascita che stenta ad arrivare.
Così l’opportunità si è perduta, l’evento è stato disertato, e tutte le persone coinvolte, oltre alle macerie, oltre al vuoto, oltre agli orologi fermi, hanno potuto immergersi nel contesto cittadino scoprendo due cose a cui ogni aquilano piano piano sta diventando avvezzo, l’assenza ed il silenzio.
Mi preme di sottolineare di come, queste quattro persone, dopo aver scelto di adottare L’Aquila, e non i terremotati d’Emilia o gli alluvionati di Liguria, che pure sarebbero stati più prossimi al loro punto di partenza, abbiano in passato frequentato la nostra città per quattro giorni, eludendo i percorsi guidati che i rari ospiti fotocameramuniti sono soliti frequentare, e decidendo invece, per meglio interpretare la realtà dei fatti, di confrontarsi con le persone, effettuando delle interviste su territorio, e magari dividendo un piatto sulla tavola con quanti di noi hanno voluto accogliere la loro aspirazione a capire. E assenza e silenzio sono state le monete spese per ringraziarli del loro impegno e della loro dedizione.
Un malato che decida consapevolmente di non curarsi, non può derogare ai medici che lo assistano la totale colpa del proprio tracollo.
E certo non si presenta al concorso di Uomo più salutare dell’anno.
Così noi. Se non siamo in grado di valorizzare, pubblicizzare, partecipare, qualcosa che ci tocca da così vicino, che viene realizzata per e nella nostra città, come possiamo poi aspirare a rappresentare al livello europeo la cultura?
Forse è giunta l’ora che queste domande inizino a trovare una risposta.
Forse è tempo che smettiamo di occuparci della forma delle cose, dell’apparire, delle comparsate a braccetto di Presidenti, di bandiere tolte e rimesse e troppo spesso calpestate, ed iniziamo a preoccuparci della sostanza, dei fatti, di quanto effettivamente, oltre ad essere capaci di indignarci per frasi che ci raccontino meno operosi e risoluti di quanti in posti differenti hanno subito le medesime sciagure, abbiamo volontà di cambiare le cose.
A meno che non vogliamo rispolverare il nostro motto e trasformarci nella Capitale Europea dell’Immobilità.