
di Annamaria Coletti Strangi*
Il barbiere romano, spesso, non solo tagliava irregolarmente i capelli del cliente (Hor. epist. 1,1,94): “[i]Se mi presento a te con i capelli tagliati a scaletta dal barbiere, ridi[/i]” (suscitando, appunto, ilarità negli altri), ma lo sfregiava persino. Da Marziale sui [i]ferramenta tonsoria[/i] (14,36): “[i]Ecco i tuoi arnesi, fatti per tagliare i capelli, questo va bene per le unghie lunghe, quello per le guance[/i]” (“tagliagote” traduce G. Ceronetti (M.V. Marziale, Epigrammi, Torino 1964).
Per fare la barba, il tonsor affilava il rasoio su una pietra, lo inumidiva con la saliva e lavorava sulle guance del cliente che, come si vede su una scena burlesca di Aristofane, gonfiava le gote per facilitalo.
Senza insaponature e lozioni, la rasatura era dolorosa, diventava una tortura se si aggiungeva una certa imperizia. Marziale (11,84) consiglia di evitare un tal Antioco: “[i]Chi non vuole ancora scendere alle ombre dello Stige, eviti, / se non è scemo, il barbiere Antioco. . . Tutti i tagli, tutti i segni che potete contare sul mio mento, / simili a quelli che stanno sulla fronte di un vecchio pugile, / non li ha fatti la mia moglie severa con le sue unghie irose: / è colpa del rasoio e delle maledette mani di Antioco . . .[/i]” (trad. di S. Beta, Marziale, Epigrammi, Milano 1995).
Si ricorreva spesso, allora, alle cure del dropacista che dopo aver spalmato linimenti deglabatori (come la pece, unita a materie resinose), ricorreva al metodo a strappo. E’ sempre Marziale a informare: “[i]Tu hai parte della barba tosata, parte rasa e parte strappata. Chi potrebbe dire che una sola è la testa?[/i]”.
Tutti, uomini e donne, nell’elegante Roma imperiale, dovevano essere curati, soprattutto per conquistare l’altro sesso, anche a costo di grandi sacrifici.
Ovidio suggerisce agli uomini (ars 1,465): “[i]Che i capelli non si drizzino come spini, che la chioma, che la barba, siano curate da una mano esperta” [/i], mentre Marziale, ferocemente, deride chi esagera con trucchi e tentativi di seduzione (9,37): [i]”Galla, te ne stai a casa e intanto nel mezzo della Suburra vieni adornata, e per te si prepara la chioma che non hai; di notte riponi i denti allo stesso modo di un abito di seta e giaci riposta in cento vasetti e la tua faccia non dorme con te, eppure ammicchi invitante verso di me con quel sopracciglio che ti hanno tirato fuori dalla scatoletta stamattina…[/i]”.
[i]*Facoltà di Lettere e Filosofia – Università degli Studi dell’Aquila[/i]
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