
[i]di Sergio Nannicola*[/i]
Che il post sisma a L’Aquila fosse complicato da gestire lo si poteva immaginare già dal sette di aprile del 2009, ma che ci fosse il pericolo di ricorrere davanti a un giudice per difendere l’intera categoria degli artisti e far rispettare norme previste da leggi ordinarie in materia di bandi pubblici era alquanto bizzarro da immaginare, visto che la ricostruzione (in questo caso artistica) della città dell’Aquila e del suo territorio sembra la si voglia stravolgere affidandola a categorie professionali diverse da quelle storicamente conosciute, ovvero gli artisti e i creativi più in generale. E se queste regole vengono riscritte dalla politica poco importa se l’oggetto è la Costituzione italiana, una delibera, oppure un’opera d’arte. Tanto che la stessa ricostruzione artistica in questo caso diviene oggetto di merito di politici che favoriscono volutamente o involontariamente alcune categorie professionali anziché altre specificatamente titolate. A l’Aquila queste ultime sono state inspiegabilmente escluse da un concorso di idee che di fatto le riguarda direttamente.
Se anche l’Assemblea cittadina e il Comitatus Aquilanus si sono sentiti chiamati in causa prendendo posizione contro le questioni di merito del bando emesso dal Comune dell’Aquila (Settore Opere Pubbliche), relativo alla realizzazione di un monumento alle vittime del sisma da ubicarsi in Piazzale Paoli a L’Aquila, alla modica cifra di trecentomila euro più premio progettuale di tredicimila estensibile a trentamila per direzione lavori, senza ripartire le spese tra opera e riqualificazione dell’area, allora davvero i conti non tornano.
Il bando, come sottolineato dai Comitati, è in evidente contrasto con la normativa degli appalti pubblici, carente sia di riferimenti certi sia per ciò che concerne la stesura del bando stesso, oltre l’inspiegabile esclusione della figura dell’artista (addirittura anche a livello di Commissione tecnica per l’aggiudicazione) che in questo caso avrebbe dovuto proporre e realizzare l’opera (da notare che l’opera d’arte ha una consistenza dell’80/90% dell’intero intervento).
Tuttavia è importante ribadire ai fini dell’informazione che il bando ha una duplice natura: tecnica ed artistica, il che vuole però anche dire che se si esclude la figura dell’artista dalla produzione dell’opera tutto ricade in mano ai tecnici e in questo caso accade l’incredibile. Paradossalmente viene abilitata a progettare l’opera d’arte anche una figura come quella del geometra (o del restauratore) iscritto all’albo professionale qualora decidesse di partecipare al bando – “[i]La partecipazione al concorso è aperta a tutti i professionisti di cui all’art. 90 del D.lgs. 163/06, lett. d, e, f, f bis, g, h, che alla data di pubblicazione del bando, siano regolarmente iscritti ai relativi ordini professionali[/i]” – del quale sono del tutto evidenti le competenze tecniche, ma non quelle artistiche.
Tuttavia per uscire da questa irritante e inopportuna situazione esistono diverse possibilità: se si vuole fare un vero “concorso di idee” allora lo si faccia veramente stimolando una sorta di “Arte pubblica partecipata” lasciando aperto il bando a tutti i cittadini e le istituzioni preposte come le scuole, i licei artistici, le accademie di belle arti, le facoltà di architettura e così via e l’idea migliore (valutata da una commissione di esperti veri) si realizzerà con il supporto dei tecnici e degli artisti.
Oppure, se si sceglie la strada degli addetti ai lavori, si fanno due bandi distinti (premetto che gli artisti non hanno un albo professionale ma la loro affidabilità artistica è data dal loro curriculum), uno per l’opera d’arte riservato agli artisti e l’altro per la sistemazione dell’area verde circostante riservato ai tecnici.
Come ultima possibilità si dia luogo alla formazione di gruppi di lavoro misti espressamente dichiarati nel bando (a mio parere la soluzione ottimale), ossia si fanno partecipare insieme e a parità di diritti un artista e un architetto/ingegnere/geometra ognuno per le sue competenze, così come avviene sempre più di frequente nei concorsi pubblici di riqualificazione urbana e ambientale in Italia, in Europa e nel mondo.
Date per buone tutte le ipotesi, l’ultima tuttavia offrirebbe un qualificato e interessante confronto tecnico/artistico di ampio respiro, entro il quale sarebbe possibile ridiscutere e attuare anche la legge 717/49 e successive linee guida pubblicate nel 2007, che vedono artisti e tecnici lavorare insieme alla ricostruzione o al restauro delle opere pubbliche.
Con tale prospettiva la stessa ricostruzione del cratere sismico acquisterebbe senso e restituirebbe alla comunità un patrimonio artistico e architettonico di pregio così come avvenne dopo il terremoto del 1703. Diversamente si andrebbe a delineare l’ennesima occasione persa per l’intera città territorio, la quale nonostante tutto auspica una ricostruzione canonica a tutto tondo sia dal punto di vista sociale ed economico che dal punto di vista architettonico ed artistico.
Come ultima cosa rigetto fermamente la “discrezionalità” dell’architetto di coinvolgere a suo piacimento l’artista (ipotesi caldeggiata di recente dall’assessore Alfredo Moroni), in quanto non solo non risolverebbe il problema, ma creerebbe un’imbarazzante situazione di sudditanza e una disparità di trattamento tra categorie simili, mortificando la stessa dignità degli artisti.
Vorrei ricordare infine a coloro che mirano a creare spaccature tra le diverse professioni e vedono gli artisti con una certa aria di sufficienza che le facoltà di Architettura sono in fondo figlie delle medesime Accademie di Belle Arti, nate da una costola di questa istituzione negli anni trenta del ‘900. In quegli anni a Milano precisamente nel 1931, la “Scuola di architettura” fondata e ricompresa nei corsi di studi accademici già dal 1891 venne trasferita dall’antica sede di Brera al Politecnico dove ancora oggi si trova. Pertanto senza escludere alcuna categoria professionale in quanto ritengo che tutte siano necessarie alla buona riuscita del progetto, si (ri)chiede ancora una volta alla stazione appaltante di (ri)formulare correttamente il bando inserendo in primis la figura professionale dell’artista ingiustamente e impropriamente esclusa, che si istituisca una commissione di valutazione dove sono presenti anche un artista e uno storico/critico dell’arte, infine che si dia luogo ad una procedura che tenga conto di una possibile e reale rettifica di tutte le anomalie del caso.
La ricostruzione della città e del suo territorio non possono prescindere dal ruolo e dalle sensibilità espresse dagli artisti ce lo insegna la storia. Dunque, o si trova una sinergia trasversale fra tutte le categorie interessate a questo compito oppure L’Aquila racconterà alle future generazioni la stratosferica miopia dei suoi amministratori.
Noi non ci stiamo. Il presente documento è stato sottoscritto da numerosissimi artisti, storici e critici dell’arte, professionisti, istituzioni e tutti coloro che ritengono irragionevole e fuori luogo l’esclusione degli artisti dal suddetto bando e dal ruolo pubblico delle loro funzioni.
[i]*artista e docente presso l’Accademia di Belle Arti di Brera – Milano[/i]