Essere dottori, quanto serve davvero?

15 giugno 2013 | 10:00
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Essere dottori, quanto serve davvero?

di Fabiana De Rosa

«Lavoro, una laurea non basta più. 200mila dottori disoccupati nel 2012» è il titolo di un articolo del maggio 2013 apparso sul fattoquotidiano.it.

Non è certo una novità. Al giorno d’oggi avere una laurea è

praticamente indispensabile. Ma che valore ha nella pratica il titolo di “dottore”?

Ai tempi dei nostri genitori essere diplomati significava avere accesso all’insegnamento e fare carriera. Ad oggi, il diploma è ormai paragonato ad una licenza di terza media.

Sono molto poche le lauree che offrono la disponibilità “quasi immediata” di affacciarsi nel mondo del lavoro. Ad avere la meglio sembrerebbero essere i laureati in settori medici (infermieri, dottori, fisioterapisti) e in settori prettamente tecnici. Ciò che è

certo è che in Italia le lauree umanistiche sembrano non interessare particolarmente ai datori di lavoro.

«Nel nostro Paese – si legge in un articolo del giornale.it – al momento conviene conseguire una laurea tecnica piuttosto che umanistica. Quest’ultima infatti apre mediamente carriere lavorative più lente, difficili, precarie, con retribuzioni meno elevate e, anche per questo, spesso demandate alle donne».

Alcuni giovanissimi, anche per questo motivo, preferiscono

concentrarsi nell’immediata ricerca di un lavoro subito dopo il diploma. A optare per questa scelta sono in particolar modo coloro che hanno conseguito un diploma tecnico. Si tratta di diplomati in istituti per geometri, ragionieri, periti commerciali, segretari d’azienda e così via.

Un’importante fetta di laureati decide inoltre di trasferirsi all’estero mentre altri optano per il trasferimento da sud a nord.

«Secondo un’indagine elaborata dall’Isfol con il dipartimento demografico della Sapienza di Roma – si legge in un articolo apparso su Repubblica.it – il 72% dei giovani fra i 20 e i 34 anni è disponibile a spostarsi pur di trovare lavoro. Il 17% mette in conto di vivere in un altro paese europeo, quasi il 10 è disponibile anche a cambiare continente. Una tendenza confermata dai dati dello Svimez, dell’Istat e di Almalaurea».

Ciò che è assolutamente certo è che il mondo del lavoro è nettamente cambiato. Occorre non solo studio ma anche formazione, conoscenza delle lingue e impegno costante.

La regola è quella di non rinunciare ad ogni costo alle nostre aspettative e di cogliere le occasioni del momento, anche se precarie o non del tutto soddisfacenti. Un giorno, chissà, magari i nostri sforzi potrebbero essere ripagati.

L’errore più grande sarebbe quello di perderci d’animo.

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