
Li chiamavano
“monaci”, per via delle larghe tute mimetiche che indossavano,
sotto le quali nascondevano cinte e bastoni. Vere e proprie
squadre di punizione che agivano in silenzio e molto spesso di
notte, per colpire i detenuti del carcere di Sulmona.
La scioccante rivelazione è stata fatta questa mattina da un
collaboratore di giustizia, sottoposto a regime di protezione
rinchiuso nel carcere di Torino, dove sta scontando l’ergastolo,
chiamato a testimoniare in un processo in cui è imputato
Francesco Sciarrotta, agente di polizia penitenziaria di 45 anni
del Gruppo operativo mobile (Gom) di Roma.
L’agente è accusato
di lesioni aggravate nei confronti di un detenuto, per fatti che
si sarebbero svolti nell’ottobre del 2007.
Nel corso dell’udienza che è durata alcune ore e che si è
svolta a porte chiuse, il collaboratore di giustizia ha
raccontato con dovizia di particolari, numerosi episodi di
presunti maltrattamenti messi in atto, dai cosiddetti “monaci”
nei confronti dei detenuti, ai quali avrebbe assistito durante
la sua permanenza nella sezione gialla del carcere di Sulmona
riservata ai collaboratori di giustizia.
Rivelazioni che hanno indotto il difensore della parte
civile, l’avvocato Cinzia Simonetti, a chiedere al giudice Ciro
Marsella, la trasmissione degli atti alla procura della
Repubblica, affinché venga approfondita la veridicità delle
dichiarazioni del testimone, in ordine all’esistenza di una
presunta squadra di picchiatori.
Nel corso della
deposizione il testimone avrebbe fatto con precisione alcuni
nomi di agenti di polizia penitenziaria che avrebbero
partecipato ai raid punitivi.
«Laddove venissero
accertate responsabilità in ordine ai fatti emersi nel corso
del processo – afferma l’avvocato Simonetti che è anche
responsabile di zona dell’Osservatorio Carceri dell’Unione delle
Camere Penali Italiane -sarebbe giusto e opportuno sia da
parte della giustizia sia da parte della stessa amministrazione
penitenziaria, che venissero adottati gli opportuni
provvedimenti, affinché non si verifichino altri casi Cucchi».
(ANSA).