
di Fulgo Graziosi
I Governi che si sono avvicendati alla conduzione del Paese, dalla ricostruzione in poi, hanno sempre asserito che “La legge è uguale per tutti”. Tanto è vero che hanno preteso l’iscrizione di tale principio nelle aule dei tribunali e in tutti i luoghi nei quali, bene o male, si possa parlare di giustizia. Purtroppo, così non è. Proviamo a guardare insieme alcuni fatti di basilare importanza e di lapalissiana evidenza.
Il povero cittadino che, per necessità di sopravvivenza, si appropria di una scatoletta di tonno in un supermercato viene arrestato, denunciato, giudicato, trattenuto per qualche notte in stato di fermo e multato in tempo reale. Coloro che abilmente riescono a sottrarre dalle casse dello Stato, meglio ancora dalle tasche dei cittadini contribuenti, “piccole somme” a nove, dieci, undici e dodici zeri vengono, invece, premiati con il titolo di “Cavaliere” o “Commendatore” della Repubblica.
Non è facile, oltretutto, arrestare individui del genere, perché occorre chiedere preventivamente l’autorizzazione all’apposita Commissione parlamentare e, dal momento che lupo non morde lupo, il permesso a procedere viene negato.
Solo in alcuni casi, quando le Margherite sfioriscono e restano solamente potenti Papaveri, la giustizia riesce a procedere speditamente contro un unico capro espiatorio, al quale vengono imputate anche le palesi responsabilità dei Papaveri infestatori dei prati. Questi avvenimenti non avrebbero necessità di alcuna considerazione e riflessione, se non fosse per il fatto che solo alcuni di questi procedimenti vengono portati avanti con molta fatica. Altri scompaiono non solo dalle cronache quotidiane dei giornali, ma non se ne trova più nessuna traccia. Dissolti nel nulla.
Vorremmo parlare anche degli innumerevoli scandali relativi alla indebita appropriazione dei famosi finanziamenti, o rimborsi elettorali, elargiti ai Partiti con troppa disinvoltura, senza che nessun parlamentare sia intervenuto per denunciare una parvenza di opposizione contro l’approvazione di una legge che fa rivoltare lo stomaco.
Non basta ancora. Il popolo vince un referendum per l’abolizione del finanziamento ai Partiti e questi, feriti nella più profonda intimità delle casse, puniscono repentinamente l’elettorato, cambiando il termine finanziamento in rimborso delle spese elettorali. Spese che, guarda caso, non esistono e non sono mai esistite, perché pranzi, cene, spese telefoniche, pubblicità, personale addetto agli uffici elettorali, manifesti e santini, sono stati offerti, si fa per dire, da imprenditori, commercianti, operatori economici di ogni ordine e grado, in cambio di contropartite di lavori e forniture.
Vogliamo parlare degli ultimi turlupinanti atteggiamenti governativi in ordine al finanziamento dei Partiti? Il Governo tecnico che era partito in quarta per fare cassa e quattrini, ha preferito affondare le mani nelle tasche del ceto medio, rastrellando le economie della classe lavoratrice, per non incidere sulle cospicue disponibilità degli intoccabili. Risultato inconfutabile posto sotto gli occhi di tutti: vertiginoso aumento del numero dei contribuenti che hanno superato la soglia della povertà, determinata proprio dalla classe dei governanti, se così si possono chiamare.
Ancora più vergognoso e inqualificabile è stato il verdetto dato dalla Commissione dei Saggi, nominata dal Capo dello Stato, allorquando ha avuto la sfacciataggine di affermare che il finanziamento dei Partiti si rende necessario e indispensabile.
Il nuovo Governo, nato tra mille difficoltà e fortemente osteggiato dagli inciuciatori e da irremovibili esattori, ha sottoscritto il ferreo accordo con il quale si impegna ed eliminare immediatamente ogni forma di finanziamento ai Partiti e all’abolizione dell’Imu sulla prima casa. Risultato: ancora un vergognoso voltafaccia di taluni spocchiosi ministri che, nel nome della economia, pretendono che gli italiani credano ancora alle favole della indisponibilità di cassa dello Stato.
Perché non si vuole cominciare ad attuare le riforme più elementari? Perché non si vuole affondare il bisturi dove i predatori non affondano più le mani ma usano delle potenti idrovore per aspirare anche l’ultimo centesimo, per affermare che, allo stato delle cose, non resta altro da fare se non raschiare il fondo della cassa? Perché non si vuole consentire ai cittadini di detrarre le spese comunque sostenute per la gestione del bilancio familiare? Perché non si riporta allo stadio iniziale il contenuto della legge sull’immunità parlamentare?
Se non lo aveste intuito, ve lo diciamo noi con parole semplici. Non si vuole eliminare il finanziamento ai partiti perché gli ingordi non vogliono rinunciare alle laute disponibilità per investimenti all’estero e sul territorio nazionale, mediante l’utilizzo di insospettabili prestanome che, a loro volta, hanno tutto da guadagnare senza lavorare. E, poi, perché per chiedere i contributi dei privati, con la cessione del due per mille, bisognerebbe essere dotati di dignità e di credibilità. Elementi questi di cui si è perduta la semina.
Non si vuole fare la riforma elettorale, tanto sollecitata dal Capo dello Stato, perché gli attuali parlamentari non vogliono perdere la poltrona. Il popolo vorrebbe che la nuova legge elettorale contenesse quattro elementi di fondo: drastica riduzione dei parlamentari, in tutto 150 persone tra camera e senato; immediata espulsione dal transatlantico del parlamentare che non intenda restare nel partito di appartenenza per contrasti personali o politici; abolizione immediata di ogni trattamento economico e privilegio ai parlamentari, consentendo agli stessi di mantenere il posto e la remunerazione di provenienza e assegnando agli stessi un rimborso spese in base al regolamento per gli impiegati statali; conseguente abolizione del cumulo delle pensioni, applicando la stessa regola vigente per i pubblici dipendenti.
Non si vogliono mettere le mani sulle spese regionali, perché i Governatori delle Regioni hanno costituito una casta più forte della Sacra Corona Unita e potrebbero costituire una forte concorrenza per le candidature alla Camera o al Senato. Qui, se il Consiglio dei Ministri disponesse di capacità valutative e di buon senso dovrebbe mettere le mani con estrema urgenza, togliendo il termine di legiferazione alle Regioni.
Queste ultime non legiferano, al limite possono emettere dei regolamenti regionali, senza sconfinamenti di sorta, all’interno delle leggi dello Stato e non di più. In questo modo si toglierebbero anche quei privilegi che i Consiglieri Regionali si sono arbitrariamente attribuiti per assimilazione. Se i parlamentari godono di tanti benefici perché legiferano, gli stessi privilegi devono essere attribuiti ai Consiglieri regionali perché legiferano. Ai cittadini non sarà mai consentito, come avviene nella nazioni più civili, di detrarre le spese dalla denuncia dei redditi, perché se si dovesse avverare la prospettiva delle detrazioni si scoprirebbero immediatamente i veri evasori, cioè coloro che nella denuncia dei redditi espongono degli utili di gran lunga inferiori ai propri dipendenti. E questi evasori, messi allo scoperto, non finanzierebbero più le varie campagne elettorali.
All’immunità parlamentare i nostri esponenti politici non rinunceranno mai, altrimenti sarebbero costretti a comportarsi da cittadini onesti, non fare la spesa con i bancomat del Partito, a rispettare le regole e a vivere più decorosamente, con comportamenti civili, sociali, morali ed etici confacenti alla carica che si ricopre. Se le cose stanno così, e non può essere diversamente, la legge dovrebbe perseguire tutti i parlamentari che, al di fuori o al di dentro del Parlamento Italiano, compiono reati non strettamente legati all’autentica interpretazione della “incolumità” parlamentare. Non dovrebbero essere perseguiti se, attraverso l’emanazione di una legge, si possano creare in qualche modo danni alla collettività o a una parte di essa. Dovrebbero essere perseguiti, senza ombra di dubbio, se rubano, se commettono atti contro la morale, se fanno la spesa con i soldi dei cittadini,o dei Partiti.
Se non si riportano in equilibrio i piatti della bilancia della giustizia, non possiamo affermare che “La legge è uguale per tutti”, ma dovremo dichiarare apertamente, scrivendolo anche nelle aule di giustizia, che “La legge non è uguale per tutti”, perché ve lo abbiamo dimostrato nelle argomentazioni innanzi esposte. Se, poi, qualcuno è in grado di dimostrare il contrario, lo faccia pure e saremo ben lieti di pubblicare le tesi, non uguali, ma semplicemente contrarie.