Permafrost, allarme rosso

4 luglio 2013 | 14:48
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Permafrost, allarme rosso

di Gioia Chiostri

Uno studio recente, effettuato sulle stalattiti e stalagmiti all’interno delle caverne siberiane, condotto dall’Università di Oxford, ha dimostrato che ampie zone del permafrost del nostro pianeta e cioè quello strato di terreno gelato che si trova sotto la superficie terrestre, potrebbero sciogliersi.

Il ‘rischio scioglimento‘ potrebbe concretizzarsi se la temperatura media globale aumentasse di ben 1,5 gradi. La ricerca lancia l’allarme rosso sulla base delle attuali proiezioni climatiche: il clima terrestre, infatti, si riscalderà di più di due gradi Celsius nel prossimo secolo. Alla luce di questo scenario, gli esiti dell’indagine promossa dall’Università oxfordiana risultano preoccupanti.

{{*ExtraImg_147430_ArtImgRight_300x193_}}Lo studio è stato pubblicato sulla rivista ‘[i]Science[/i]’ e ha come oggetto di analisi quei depositi minerali che si formano nelle grotte chiamati speleotemi che conservano le tracce degli scongelamenti del permafrost avvenuti in tempi remoti.

L’autore principale della ricerca, Anton Vaks, ha spiegato che «per gli scienziati che vogliono studiare il permafrost, queste formazioni sono fondamentali per il fatto che si generano solo quando pioggia e acqua filtrano nelle grotte attraverso fessure nella roccia. Gli speleotemi non possono, infatti, crescere se la roccia sopra la grotta è ghiacciata e chiusa». Lo scienziato ha inoltre ricostruito il modo in cui il confine meridionale del permafrost si sia spostato nel tempo e nello spazio come conseguenza dell’alternanza in passato di periodi freddi e riscaldamenti globali.

I risultati hanno dimostrato che l’ultima formazione di speleotemi nelle grotte siberiane analizzate è avvenuta circa 400 mila anni fa: periodo noto come stadio isotopico marino 11, in cui le temperature si accrebbero proprio di 1,5 gradi Celsius rispetto a quelle attuali. Ha concluso Vaks: «I risultati dimostrano che un ulteriore riscaldamento di 1,5 gradi potrebbe causare lo scongelamento delle regioni più profonde del permafrost e non solo delle aree di confine».