
di Fulgo Graziosi
Le condizioni atmosferiche dei giorni precedenti non hanno permesso all’associazione culturale “Rocca San Vito” di Tornimparte di effettuare la festa della mietitura nella consueta forma degli anni precedenti. Infatti, la pioggia della sera di sabato 20 ha praticamente inondato tutta la campagna e, naturalmente, anche i campi di grano prescelti per la manifestazione. Comunque, di buon mattino, ci siamo avviati verso Colle San Vito, accompagnati da un tiepido sole che aveva appena dissolto a fatica l’ultima nebbia.
La strada provinciale Amiternina è quasi deserta. Il verde, il cui sviluppo è stato favorito dalle abbondanti piogge, circonda tutto l’ambiente. I rigogliosi alberi, posti ai margini della strada, formano una specie di galleria botanica. Ogni tanto un buco, una specie di finestra, permette allo sguardo di viaggiare lontano, abbracciando panorami spettacolari, montagne tappezzate di verde e ambienti naturali che non hanno nulla da invidiare ai paesaggi svizzeri e austriaci. Abbiamo delle bellezze naturali invidiabili a portata di mano che non sappiamo apprezzare dovutamente, solo perché appartengono al nostro territorio.
La piazza di San Vito è praticamente deserta. Non si vede anima viva. Sulla soglia di casa, puntuale come un orologio di precisione, ci aspetta Paolo Di Battista. Un giovane del luogo che, togliendo spazio e tempo utile alla propria attività professionale, si dedica con entusiasmo alla vita istituzionale dell’associazione culturale “Rocca San Vito” e alla organizzazione della manifestazione legata alla mietitura. Ci accoglie tutta la famiglia di Paolo e, in men che non si dica, si stabilisce un clima di perfetta cordialità, tipico della società contadina, anche se di contadino in queste famiglie è rimasto soltanto il nome.
Non ci sono computer accesi. Non sono stati messi in funzione telefonini e apparecchi fissi. Veniamo raggiunti ugualmente in tempo reale da Gabriele Coccia. Una nostra vecchia conoscenza, incontrata nelle stanze delle varie commissioni agricole regionali. Possiamo tranquillamente affermare, senza urtare la suscettibilità di nessuno, che Gabriele rappresenta l’anima dell’associazione “Rocca San Vito”, solidamente imperniata sulla perfetta base culturale, motore di ricerca dello sviluppo socio economico del territorio comunale, provinciale, regionale, nazionale e comunitario.
Senza cultura non si va da nessuna parte. I temi affrontati scorrono veloci sul piano della condivisione delle idee di fondo. I progetti sono abbastanza ambiziosi, ma, a differenza di tanti voli pindarici, poggiano sulla realtà e risultano fedelmente legati al territorio ed alle reali potenzialità dell’ambiente locale. Gabriele e Paolo hanno un comune obiettivo da raggiungere: conservare fedelmente le tradizioni del posto per poterle tramandare correttamente ai posteri allo scopo di evitare che le attuali e le future generazioni perdano i contatti con i luoghi d’origine. Inoltre, vorrebbero che i posteri potessero verificare tangibilmente le esperienze vissute dagli anziani, dalle cui azioni è scaturito, senza ombra di dubbio, lo sviluppo sociale, culturale ed economico dell’intero Comune.
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Dalla vicina piazza comincia ad arrivare un leggero fruscio di motori. Giunge anche qualche raglio d’asino. Comincia ad animarsi la vita: gli entusiasmi non sono scesi di tono, malgrado le avverse condizioni atmosferiche.
I più anziani, come al solito, hanno già occupato i posti strategici nelle immediate vicinanze della parrocchiale, da dove hanno la possibilità di osservare qualsiasi movimento possa verificarsi sulla piazza antistante. Essi, dall’alto della loro età, rappresentano il Senato di Colle San Vito. Il loro giudizio è “vangelo” e non si discute.
Il viso di queste persone anziane presenta dei caratteri somatici ben delineati. Visi scavati, atteggiamenti alquanto rudi. Sguardi profondi e fortemente decisi. Guardano il proprio interlocutore intensamente. Una specie di raggio laser che ispeziona l’atteggiamento, la persona, il modo di porgersi e penetra fin nell’interno dell’anima con fare alquanto restio e interrogativo. Dopo qualche attimo, però, un ampio sorriso sornione apre le porte al dialogo e alla cordialità.
Loro sanno tutto della mietitura e di tutti i lavori ad essa connessi fin nei minimi particolari. Il più anziano non detta legge, ma viene ascoltato attentamente e i suoi discorsi perfettamente condivisi, mai contestati. Gli altri, meno anziani, aggiungono nuovi particolari, dovuti essenzialmente all’evoluzione della vita e delle innovazioni tecnologiche che anche l’agricoltura ha subito ed adottato.
Il breve dialogo intercorso con Benedetto Di Battista, padre di Paolo, Matteo Corsi e Ercole Santucci, al secolo “Ninottu”, meriterebbe ben altro spazio. Hanno una memoria lunga e lucida che, a stento, potrebbe essere contenuta dai nostri computer.
Ai nostri interlocutori, ma anche a tutti gli altri presenti, brillavano gli occhi nel momento in cui si accingevano a raccontare le loro esperienze, con un fondo comune quasi costante.
La mietitura era una vera e propria festa. Durante l’intera giornata lavorativa, che iniziava all’alba e terminava al tramonto, i mietitori lavoravano sodo e cantavano in continuazione.
La voce dominante, naturalmente, era quella femminile. In alcune circostanze si poteva pensare che il canto delle donne, specialmente delle giovani, fosse orientato a far conoscere le proprie doti in maniera da favorire possibili innamoramenti, come realmente è accaduto e così come confermato proprio da Ercole Santucci. Altre volte, attraverso parole e note, si avvertiva il senso del disprezzo per un progetto d’amore non realizzato per diversità di vedute, per un terzo incomodo, o per le interferenze familiari.
Nei casi in cui i contadini, dopo aver mietuto il proprio grano, andavano “a giornata” presso i poderi dei possidenti del posto o dei centri limitrofi, al fine di acquisire qualche soldo per affrontare le spese familiari, gli stornelli, le famose ottavine, si facevano più salaci e sottili, mirando a divulgare l’idea di una più equa ripartizione delle risorse e delle sostanze economiche per l’intera società. Una, in particolare, ha saputo suscitare la nostra attenzione, perché fortemente radicata nel nostro territorio provinciale per le grandi lotte fatte contro il latifondo agricolo. È bellissima, penetrante e merita di essere letta, assimilata e tramandata ai nostri posteri:
“[i]Questa è la terra delle cento coppe / centocinquanta some possa fare. / Poi possa piglià moglie ju patrone / centocinquanta figli possa fare. / Così ne possa toccà ‘na soma perune[/i]”.
Riflettiamo bene sul contenuto dello stornello. Esso sintetizza perfettamente la ripartizione in parti uguali e sociali del patrimonio iniziale del latifondista, senza creare forti reazioni, anche se la morale tenderebbe a sottendere che una lauta quota dovrebbe andare anche ai mietitori e lavoratori della terra.
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Un particolare ringraziamento vada agli anziani attori Benedetto Di Battista, Matteo Corsi e Ercole Santucci per le preziose testimonianze che hanno saputo argutamente mettere a disposizione nostra, dei cittadini di Tornimparte e di tutti i lettori de Il Capoluogo.It. Particolari auguri di incoraggiamento vadano all’associazione culturale “Rocca San Vito” di Tornimparte per la tenace e penetrante attività culturale che stanno conducendo attraverso queste belle attività e mediante gli ambiziosi progetti volti a valorizzare i ricordi legati alla trebbiatura e alla valorizzazione dei “sapori naturali del posto”. Un particolare encomio meritano anche le donne di Colle San Vito che hanno saputo preparare con particolare dovizia i famosi “canestri”, con i quali si portava in campagna la colazione ai mietitori. Arrivederci alla fine della settimana con la festa della “trebbiatura”.