
Scrive Giuseppe Capograssi in [i]Lettere a Giulia[/i] “Sì, io amo i luoghi della mia fanciullezza, o Giulia, e amo pure i luoghi della fanciullezza della mia stirpe: la mia casa è vecchia, e lacerata e scarnita da un così lungo volare di anni e di secoli sopra di essa, ma io l’amo perché è la mia casa. . . e vi dormono i miei maggiori che vi si sono, l’uno appresso all’altro, addormentati nel Signore, da tanto tempo, da troppo tempo”.
Dopo “Le cose di ogni giorno” il percorso di questo blog continua con le poesie sui micro luoghi, ovvero “I luoghi della nostra vita” che sono nella realtà quotidiana di ciascuno di noi sequenze temporali di esistenza, spazi legati al filo conduttore delle azioni e delle memorie. Evocando suoni, rumori, odori, visioni, memorie legati ai nostri sensi ci dicono che in essi abbiamo passato e passiamo il tempo della nostra vita e sono lo specchio dei sentimenti e delle emozioni che fanno di questa vita “una storia”.
Là dove c’erano gerani
di Valter Marcone
Tra i muri sbrecciati e i tetti
scompigliati, cresce ora l’erba
e il sole bagna uno sterpo di rosmarino
là dove c’erano gerani alle finestre
e colombi a spulciarsi al sole.
Le porte rimaste in piedi sulle pareti
sembrano macchie
che crescono dentro gli occhi
e che il fragore delle parole inselvatichite
potrebbe finire di buttare giù.
Ora dita di fabbro ferraio,
dita piene di scommesse
si alzano e si riflettono nel cielo
Non c’è il blu nel cielo
il blu che confuse il nostro sguardo
quando vedemmo quell’altro
cielo di cotone ancora blu sulle nostre teste
le notti e i giorni d’aprile.
Si sollevano ora gli anni
alle spalle, alle spalle. I vivi e i morti
tutti insieme tornano a guardare
il cielo, a cercare il blu e non fu
non fu invano strapparsi,
come per una ventata ai cari, ai luoghi.
D’amore in amore, di giorno in giorno
ancora, ancora con quel nuovo blu
là torneranno gerani
e i miei occhi a guardare il cielo.
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