Ritorno all’edicola che non c’è

12 agosto 2013 | 11:05
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Ritorno all’edicola che non c’è

di Claudia Giannone

C’era una volta un’edicola. Era nata a L’Aquila, ma dopo il terremoto del 2009, nonostante la quasi immediata riapertura, la situazione non era stata delle migliori. La posizione, dapprima ottimale, aveva perso successivamente il suo prestigio, e anzi, sempre più problemi si andavano a sommare. Le numerose chiusure di Via XX Settembre, i lavori nel Tribunale, dei palazzi e delle strade vicine: ogni scusa per chiudere quel tratto di strada. Ma spesso, anche motivi più banali: ce lo racconta direttamente la proprietaria dell’edicola che si trova di fronte al vecchio Tribunale e che purtroppo risente di tutti i problemi del post terremoto. Ma la signora, da brava aquilana, mantiene sempre il suo sorriso e con ottimismo ci parla della ricostruzione che sta andando avanti, nella speranza di tempi migliori.

«La situazione non è facile. Ci sarebbero altre soluzioni per operare qui. Si potrebbe aggiustare la strada qui sotto al Comune e si risolverebbe il problema. Questa è una strada tanto trafficata, non una semplice stradina in cui passa solo il residente. E anche noi, se viene chiusa questa parte, veniamo penalizzati dall’operazione. Anche quando fanno altri lavori, o c’è una manifestazione, per esempio nella zona della Villa, chiudono da qui. Basterebbe un semplice cartello, con l’indicazione di chiusura da una certa altezza della via. Ma almeno la gente potrebbe passare ancora qui».

«La cosa positiva – prosegue la signora – è che si nota che la ricostruzione sta andando avanti, in questo modo. In questa via c’è anche la mia casa e sono felice che si faccia qualcosa. Ma io qui sono davvero circondata: in questo momento, tra Via XX Settembre, il Tribunale qui dietro e gli altri palazzi intorno, meglio di me non c’è nessuno. Ma penso che, se si vuole andare avanti, è questo che si deve fare. Molti dicono che si dovrebbe lavorare di notte, ma c’è da considerare che qui c’è un intero quartiere dove la gente abita. È davvero un problema: magari avrebbero dovuto pensare ad abbattere prima di far rientrare le persone».

«Noi abbiamo riaperto subito, siamo stati tra i primi. E abbiamo riaperto in zona rossa, perché come si sa la zona rossa iniziava da poco prima della strada, e dovevamo anche chiedere il permesso per venire qui. Siamo stati penalizzati al massimo. Ma se non riaprivamo, morivamo. È stato triste comunque, dato che la zona era in questo stato. Si sa, la situazione non è come prima. Ma si cerca sempre di andare avanti, anche se si prendono stangate su stangate. Poi quando si vede che per ogni motivo, come anche una manifestazione di biciclette, la strada viene chiusa, davvero non si sa come si andrà a finire. Io dico che prima o poi scoppierà una rivoluzione – aggiunge sorridendo. Speriamo bene comunque, perché vedendo che si ricostruisce, ci si sente meglio anche psicologicamente».