
di Raffaella De Nicola
Li ha ospitati, “i matti”, sino agli anni 80 circa, quando uscivano la sera e li incontravi sotto i portici, ti fermavano, testa piccola, corpo massiccio, chiedevano 100 lire, una sigaretta, ti impaurivi e proprio quando pensavi che stavi per morire rituffavano bizzarramente le mani nell’impermeabile sformato e andavano via, il sorriso sdentato, dolce a modo loro, la testa dondolante come un palloncino, si riavviano a casa, nella collina, ai padiglioni di Collemaggio.
Lì vivevano, a sinistra della facciata della basilica, nel manicomio vicino l’orfanotrofio che si apriva a noi ragazzine la domenica quando portavamo regali ai bambini che si arrampicavano su noi, come fossimo alberi da conquista, per afferrarli, possederli, quei piccoli doni.
Ferma, massiccia, bella, la facciata della basilica ci guardava con i suoi tre occhi magnifici, ed entravi, attraverso la sua bocca, in un mondo solenne che scrive da sempre il silenzio, il pensiero puro, nella magia della luce che rivela il pavimento cosmatesco dalle magiche spire, bianco e rosso come i motivi delle pietre esterne che giocavano e ancora giocano con lo sguardo di chi vuole afferrarla, questa bellezza bicroma, questo gioco geometrico di croci rosse e quadrati bianchi che guardo per oscurare l’algida ragnatela di ferro e alluminio dell’interno.
Davanti, il prato, verde brillante, si inchina alla chiesa, antica matrona che guarda i ragazzi che arrivano dal viale.
E’ assediato, il colle di Collemaggio, dalle tre sorelle, i suoi tre bei parchi, privilegio raro e prezioso in una città, non adeguatamente apprezzati, vero rammarico, nella loro incredibile potenzialità dagli enti competenti.
Dietro la chiesa, nell’antico orto dei celestini, i profumi del giardino delle farfalle, dello zafferano, le peonie e le ninfee degli 80.000 mq dell’orto botanico, curati microambienti dell’itinerario didattico, anche per non vedenti, portano al giardino della transumanza da dove partivano, con fatica e sacrificio, gli antichi pastori in cerca di terre più miti e generose tracciando i tratturi della nostra storia.
A sinistra i tristi padiglioni abbandonati, il vecchio brefotrofio, segno tangibile di degrado in mezzo a 17 ettari di varietà che compongono verdi mosaici arborei di estrema bellezza: abeti, ipocedri, alberi di giuda, gelsi bianchi e la sequoia “ più grande presente in città”. Sono solo i colori della natura a ravvivare il grigio scenario dell’imperdonabile incuria umana.
A sinistra la terza sorella, la più giovane, il Parco del sole, anfiteatro naturale sulla valle dell’Aterno dove ogni giorno la stella stinge la notte con le tonalità del grano.
[i]“Ci vediamo al Parco del sole”[/i] aleggia, oggi, sul [i]“ci vediamo ai quattro cantoni”[/i] di ieri, ridisegna il diagramma della nuova vita per i ragazzi che lì si incontrano, con la basilica e i suoi parchi, braccia del suo cuore, nel punto magico dove è sorta la chiesa, dove tutto confluisce nella visione dell’eremita Pietro dagli anni della fondazione.
Lei la basilica, madre di questi parchi, accoglie teneramente nella sua collina la vita persa e quella ancora viva nel ricordo delle tendopoli e nell’ascolto degli schiamazzi che, meravigliosi, lì rincorrono una normalità, almeno fino a quando il clima benevolo lo permetterà, nonostante l’incapacità di mantenere, con cura, ciò che fra qualche giorno verrà sublimato dalla rituale festa della Perdonanza.
Scenderà, poi, nuovamente un’altra notte, un altro anno, con le incognite del dove per i nostri ragazzi.
Lì intanto, nella Basilica, sotto la crosta del Colle, verrà custodito, oltre la festa, un altro anno di pezzi di vite umane, paradigma di una storia che declina, di meccanismi inceppati, di uomini incapaci di mantenere bello ciò che è rimasto bello, nel colle di maggio in cui, un tempo, fu scritto il silenzio, il pensiero puro, e lo sguardo dei tre rosoni, da sempre testimoni di diritti mancati e di speranze nel cambiamento, in una terra immobile ma irrequieta, che cerca visionari moderni per riscrivere il proprio destino.