
di Valter Marcone
Vestivamo il diavolo senza poter comprare
i vestiti di Prada
che per la fame non avevamo nemmeno
gli occhi per piangere.
A volte le vecchiette di Vico Spezzato
ci dicevano attenti agli spiriti per farci
paura
e tenerci a bada monelli come eravamo
ma gli spiriti erano angeli con le scarpe
da zappaterra o con la camicia da ferroviere
padri e zii che lavoravano dalla mattina
alla sera
come mastro Salvatore Petrilli il muratore
e mastro Puntillo il falegname
che poi la sera si sedevano, specialmente
d’estate, fuori la porta della “cantina” di Ioletta
e con un bicchiere di vino in mano
raccontavano storie affascinanti di Garibaldi
e qualcuno dei loro padri era stato garibaldino.
Oreste Bagonghe cantava “bandiera rossa”
e il professor Carlo Autiero commemorava
ogni anno
nella sezione del PCI di Corso Ovidio
Lenin e la Rivoluzione d’ottobre.
Avevo i calzoni corti e andavo dietro
a mio padre
trovai da leggere in quella sezione
“La madre” di Gorkj e “I cosacchi” di Tolstoi
e ho amato così la Bur grigia.
I cugini Marcone giocavano tutti al calcio
io non li guardavo nemmeno perché
forse del pallone non me ne importava niente
ma in fondo ero un po’ geloso
di non saper giocare al calcio come loro.
Andavamo a far guerra tirandoci sassate
fuori Porta e non avevamo ancora letto
“I ragazzi della Via Pal”.
Leggevo invece Capitan Mike,Grande Black
e il Monello
che costavano venti lire e me li comprava
mia madre il mercoledì
quando andava a dare l’acqua alle piante
di zia Liberata che in agosto andava
a Pescara da sua sorella.
Mi piaceva di più Gino Bartali
perché Fausto Coppi era un po’ aristocratico
e tutte quelle storie della Dama Bianca
che da ragazzo non capivo.
Parlavo nel sonno durante la notte
e zio Arnaldo qualche volta me lo riferiva
a modo suo che dormivamo nella stessa stanza.
Erano gli anni dell’oratorio, della prima comunione,
delle versioni di latino della professoressa Rizza
della colazione con pane e frittata prima
di entrare a scuola.
Erano gli anni che ricordo ora sempre di più
ogni giorno
e la notte quando non posso dormire
mentre faccio finta di dimenticare quello
che ho mangiato ieri;
erano gli anni lievi che non ingombrano il cuore
il cuore leggero di quegli anni vissuti
alla leggera.
(Dedicata a tutti i luoghi e gli amici di Sulmona)