
di Antonella Calcagni
La fiaccola della pace quest’anno torna a riscaldare il cuore degli aquilani che sognano una nuova casa, ma anche una dimensione nuova in cui vivere: una “città del sole”, equa e solidale.
Dopo quattro anni il fuoco della fiaccola di Celestino, che dà il via, come di consueto, alle celebrazioni celestiniane, torna ad acquisire il senso originario: quello di pace e di riconciliazione nella città ricostruita, dove il sindaco Massimo Cialente immagina «una vita dolce, resa più facile per i propri abitanti. Una Perdonanza che ci faccia guardare solo avanti e non indietro e che diventi il binario della ricostruzione».
L’arcivescovo Giuseppe Petrocchi che partecipa per la prima volta alla festa del Perdono va oltre, immaginando che L’Aquila possa diventare una «scuola di pace» per la comunità internazionale.
{{*ExtraImg_157379_ArtImgLeft_300x170_}}I temi della coesione e della riconciliazione che sono il [i]fil rouge[/i] della 719esima edizione della Perdonanza sono stati esaltati da un tedoforo di eccezione che ha passato la fiaccola del Morrone nella mani del sindaco Massimo Cialente. È stato, infatti, Younes Mahmoud Ahme a portare da Onna all’Aquila la fiaccola di Celestino simbolo di pace e Perdono. Lui che ha ancora negli occhi le immagini della sua terra martoriata dall’odio e sogna la pace. La sua partecipazione fortemente simbolica è la testimonianza tangibile di cosa può succedere senza amore e senza capacità di perdonare. Sulla sua maglietta c’è scritto Egypt e sotto “no alla violenza, il terrorismo non ha religione”.
Gli aquilani sono tornati volentieri e numerosi alla tradizionale cerimonia di apertura di questa strana Perdonanza caratterizzata da tante novità, a cui tuttavia sembrano guardare con maggiore serenità.
Non che i problemi della ricostruzione siano finiti. Il sindaco Cialente è tornato nel suo intervento a fare cenno al rebus delle risorse quasi finite, mentre monsignor Petrocchi ha ricordato che «solo accogliendo il perdono di Dio saremo, a nostra volta, capaci di misericordia: verso noi stessi e verso gli altri». «E’ la mia prima Perdonanza come vescovo di questa Chiesa e cittadino aquilano – ha aggiunto – una Perdonanza che siamo costretti a vivere al di fuori della basilica di Collemaggio», in condizioni precarie. Questa celebrazione «diventa però un ‘indicatore’ del cammino che lo Spirito ci esorta a fare: l’invito, cioè ad allargare gli spazi del cuore, proprio quando si restringono i tradizionali ‘luoghi’ liturgici ed assembleari».
{{*ExtraImg_157376_ArtImgRight_300x192_}}In rappresentanza della Regione, l’assessore regionale Gianfranco Giuliante ha ricordato che «il popolo aquilano è su una soglia, che è linea di confine, luogo non-luogo, il punto in cui non si è più dentro casa, ma non si è ancora fuori. Siamo sospesi tra ciò che non è più e ciò che non è ancora». «Questo è anche l’anno quarto dell’era post-sisma ed è giusto che L’Aquila si interroghi sul proprio futuro – ha aggiunto – E allora bisogna essere umili ma determinati. A tutto ciò che è vischioso, dobbiamo contrapporre con responsabilità la sua alternativa; dobbiamo esprimere l’istinto di vivere, creare e ricostruire, perché questa è la terra in cui abbiamo deciso di restare e alla quale vogliamo legare il futuro nostro e delle generazioni a venire». Anche il presidente della Provincia Antonio del Corvo ha sottolineato che la ricostruzione langue ma qualcosina si sta muovendo.