
di Valter Marcone
Il mio amico fotografa le spose
sul sagrato di Collemaggio
ma è un fingitore; la sua agenda
non è quella di un fotografo di professione
ma di uno che tiene la contabilità
dei sogni d’amore e quando ci parlo
assolve sempre quei sogni, sogni
che fanno fatica a vivere in questa città.
E se penso a quelle “polaroid mutanti
del tempo” come le immagini dei santi
che mia madre teneva sulla credenza
e ai visi delle bambole di pezza
vestite di panno lenci che teneva
sul risvolto del lenzuolo
dell’alto letto matrimoniale,
anch’io non so negare a quelle polaroid
un’assoluzione di tenerezza e pietà.
Come a quegli altri sogni
ad un passo dalla riva
quando la vita si fa così lontana
che dolore, sofferenza, malattia
e morte sembrano non avere speranza.
E invece no. Per aver colmato il mondo
di nuovi suoni, per aver contato
i battiti del cuore, per aver reso
il cielo meno estraneo, per aver disegnato
una speranza, quella speranza che accoglie
il futuro, io abiterò la città
la nuova città che da questo nascerà.
Dove abiterò io? Dove abiterai
speranza? Nella città, nella città dove
sarà domani il mattino.
[url”Torna al Network LeStanzeDellaPoesia”]http://ilcapoluogo.globalist.it/blogger/Valter%20Marcone%20-[/url]