
Questa l’omelia che avrebbe dovuto tenere l’arcivescovo metropolita Giuseppe Petrocchi durante la cerimonia di chiusura della Porta Santa in occasione della 719^ Perdonanza Celestiniana all’esterno della Basilica di Collemaggio.
La Santa Messa è saltata per la fitta pioggia caduta nel pomeriggio.
[i]L’esperienza religiosa autentica, nella sua dimensione originaria e fontale, non scaturisce primariamente da un impegno teso a servire Dio, ma da una radicale apertura al Suo amore. Il fondamento dell’esperienza di fede non sta nello sforzo di amare Dio, ma consiste anzitutto nel lasciarsi amare da Lui. L’iniziativa, infatti, parte dal Signore: perché è Lui che si muove verso di noi e ci viene incontro: la nostra è sempre una risposta alla Sua benevolenza. «Noi amiamo, perché Egli ci ha amati per primo » (1Gv 4,19), afferma in modo perentorio l’apostolo Giovanni. Dunque, noi ri-amiamo Dio, con l’Amore con cui Egli ci ha amato.
In questo quadro teologico ed esistenziale va posta la celebrazione della “Perdonanza”: che non deve diluirsi in semplice ritualità tradizionale, ma va vissuta sempre più come itinerario personale e comunitario di conversione. Dobbiamo, perciò, chiedere insieme allo Spirito che ci insegni l’arte meravigliosa e difficile di ricevere e offrire perdono.
Perdonare, infatti, è un verbo che, nella sua accezione evangelica, va declinato secondo quattro modulazioni fondamentali, tra loro inscindibilmente connesse: essere perdonati da Dio, perdonare se stessi, dare e chiedere perdono agli altri.
Il primo passo, in questo itinerario teologale, sta nel consegnarsi alla paterna compassione del Signore, che ci riconduce alla nostra vera identità. Chi accoglie il perdono di Dio, infatti, acquisisce la forza per superare la scissione che si porta dentro e gradualmente ritrova la propria unità interiore; proprio per questo, diventa capace di perdonarsi e impara a fare pace con se stesso; e solo chi, sapendosi accogliere, abita bene se stesso, è, a sua volta, capace di perdonare il prossimo. Ma più si diventa pazienti e generosi verso il fratello, più si apre l’anima alla misericordia di Dio: si attiva così la “la circolarità virtuosa” del perdono, che fa maturare nella carità e consente di crescere nelle relazioni fraterne. Seguendo questo dinamismo, il “per-dono”, ricevuto e vissuto (la etimologia della parola esprime la pienezza di un gesto gratuito), diventa un “dono-per” gli altri.
Pertanto, la prima abilità da acquisire alla Scuola del Perdono – che siamo tutti invitati a frequentare regolarmente – sta nel farsi raggiungere dalla grazia, che ci guarisce dal peccato e ci rende, davvero, “nuove creature” (cfr. 2Cor 5,17).
Sapete bene, carissimi fedeli, che questo prodigio si compie, in noi e tra noi, attraverso il ministero della Chiesa e dei suoi sacerdoti: essi, nel sacramento della penitenza, diventano canali della Provvidenza che cancella le brutture deturpanti dell’egoismo, incrostato nella nostra anima, e ci rende idonei, come specchi limpidi, a rifrangere la gloria di Dio (cfr. 2Cor 3,18).
Alla luce di queste riflessioni, dobbiamo sentire rivolte a noi le parole dell’apostolo Paolo, proclamate nella seconda lettura biblica: per questo, anche io, qui ed ora, mi faccio eco di quella appassionata esortazione: « Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2Cor 5,20-21).
Al contrario, chi rimane imbrigliato nella rete del “non-perdono”, resta impantanato nella palude che si porta dentro: per questo sta male e fa star male. Si accende così il “circuito vizioso” dell’acredine ustionante, che, come ogni patologia aggressiva, continuamente si moltiplica e si espande per contagio. Infatti, più uno soffre – perché non perdona – più il suo cuore viene inondato dall’astio e dalla amarezza. Come è noto, questa crescente acidità corrosiva non fluisce solo nei solchi dell’anima (provocando guasti devastanti), ma straripa e si riversa sugli altri. Va sottolineato che nella misura in cui si innalza dentro una persona il livello della sua ostilità (verso gli altri, e quindi, anche verso se stesso), aumenta pure la sua chiusura al perdono: il che fa crescere il tumulto del malessere interiore e accelera il dinamismo auto-avvolgente della sofferenza cupa, graffiante ed epidemica.
Un drammatico esempio della distruttività che può suscitare la micidiale spirale del rancore ci è dato nel racconto del Vangelo di Marco (6,17-29).
Erodiade – che Erode aveva illegittimamente preso in moglie – è psicologicamente intossicata dal veleno del risentimento, che circola rabbioso nel suo cuore, e vuole far uccidere Giovanni il Battista, che ha pubblicamente rimproverato la coppia regnante. Sa che Erode – pur avendo fatto imprigionare Giovanni, considerato un pericoloso sovversivo – tuttavia lo temeva e proteggeva, ritenendolo giusto e santo. L’odio che Erodiade cova e alimenta in sé la spinge a ricorrere ad uno stratagemma. Usando l’avvenenza sensuale della figlia, adotta la tattica insinuante e accecante della seduzione, perché conosce la fragilità emozionale e affettiva di Erode. Vedendolo ebbro e ormai fuori di sé, gioca con astuzia la carta dell’eros, per portare a compimento il suo progetto omicida. Il suo piano riesce: la testa di Giovanni finisce su un vassoio. Stando ad una valutazione solo umana e superficiale, quest’ uomo di Dio risulta perdente nei confronti della implacabile avversione di Erodiade. Infatti, chi non va oltre l’involucro delle apparenze, potrebbe frettolosamente concludere: “gli è andata male; la sua onestà profetica è stata sopraffatta dalla cattiveria intrigante di questa donna potente e vendicativa”. Ma se lo sguardo supera il perimetro della esteriorità ed entra nel significato profondo degli eventi, intuisce subito che è Giovanni ad uscire vincitore in questa battaglia evangelica. Sì, perché l’odio non ha mai l’ultima parola: alla fine vince sempre l’Amore.
La celebrazione della Perdonanza ci invita a superare ogni logica epidermica e miope nell’approccio alla nostra esistenza e ci spinge a scrutare gli eventi con la intelligenza della fede, che può nutrire di saggezza anche la retta ragione.
Il libro della nostra storia, infatti, è composto da pagine che hanno due versanti. Sul primo, viene riportata – scritta da noi – la narrazione di ciò che ci è accaduto e la interpretazione che ne diamo: le cronache dei nostri annali interiori sono piene di ricostruzioni, spesso alterate e tendenziose, dei fatti che costellano la nostra vita. Sull’altro versante, invece, – scritto dalla mano dello Spirito – compare il resoconto di ciò che Dio ha compiuto “in” noi e “per” noi, operando attraverso i fatti che ci sono capitati: sia quelli positivi come anche quelli negativi. Il Signore, infatti, sa moltiplicare i frutti del bene, ma è capace anche di trarre il bene dal male.
Se ci limitiamo a consultare solo le righe redatte da noi, rimaniamo prigionieri del labirinto opaco degli accadimenti, delle idee con cui li filtriamo e delle emozioni che li accompagnano. Rimanendo bloccati in questi percorsi autoreferenziali, facilmente tendiamo a sviluppare atteggiamenti di rigetto, di rivalsa e di ritorsione: sentimenti che costituiscono un fertile campo per lo sviluppo di atteggiamenti depressi o arrabbiati.
Ma se “voltiamo” pagina e fissiamo l’attenzione sul messaggio che il Signore ha scritto di suo pugno, allora scopriamo che “dentro” ogni evento (lieto o doloroso) Dio ha acceso una luce e ha deposto una grazia. In questa prospettiva, diventa essenziale chiedersi davanti a qualunque situazione: cosa mi chiede Dio attraverso ciò che mi è accaduto? cosa mi vuole dire e dare? quale è il “tesoro” nascosto che debbo scoprire non solo nel terreno delle circostanze gradite, ma anche nel campo arato da esperienze dolorose, che vorrei subito cancellare?
La Perdonanza, celebrata in profondità, costituisce una formidabile occasione per rileggere la nostra storia secondo la Sapienza del Vangelo e riscoprire, nella logica della Pasqua, che anche nelle regioni più oscure della nostra esistenza Dio può accendere la fiamma dell’amore e della speranza.
Ricordiamolo sempre: la ragione profonda del perdono sta nel fatto che, senza alcun merito da parte nostra, siamo stati perdonati da Dio: poiché, dunque, gratuitamente abbiamo ricevuto, gratuitamente siamo tenuti a dare (cfr. Mt 10,8).
Poter concedere il perdono ad altri va considerata non una penosa incombenza, ma un privilegio e una grazia preziosa: il Vangelo, infatti, ci assicura che chi rimette agli altri il debito, riceve a sua volta la cancellazione del suo deficit nei confronti della giustizia di Dio. Va detto, inoltre, che il condono gli viene applicato non solo secondo un criterio di parità, ma secondo una misura infinitamente più grande rispetto a quella praticata verso gli altri. Perdonare, perciò, è una impresa spiritualmente – quindi anche umanamente – molto conveniente. Di conseguenza, consideriamoci fortunati di avere occasioni per essere larghi di cuore, perché il Signore ricompensa ogni atto di bontà, compiuto nel tempo, con un premio di valore infinito ed eterno.
Va pure sottolineato che vivere la Perdonanza non vuol dire solo attingere al perdono di Dio e dare perdono agli altri, ma comporta pure l’obbligo morale di chiedere perdono, se ci accorgiamo di aver sbagliato. Purtroppo questo atto di umiltà viene spesso eluso: o perché rimandato a tempo indeterminato o perché intenzionalmente evitato. Agiscono spesso, come motori di queste omissioni, la paura di esporsi a figuracce di fronte all’altro o la previsione di andare incontro a ritorsioni da parte sua. Rispetto a questo errato meccanismo di autotutela, va rilevato che il danno provocato – da scuse dovute ma non fatte – è molto più grave della presunta rappresaglia che sarebbe stata provocata dalla onesta e disarmata ammissione delle proprie mancanze.
L’esperienza mi ha insegnato che molte crisi dentro le famiglie e in ambito parentale, come anche a livello comunitario e sociale, nascono proprio da fratture relazionali causate da sbagli commessi e poi cumulati, perché non riconosciuti e mai sanati.
Infine, vorrei almeno evocare la valenza sociale del perdono, che costituisce un imprescindibile e potente fattore di pace civile e di laboriosa prosperità.
«La verità della pace – ha scritto Benedetto XVI – chiama tutti a coltivare relazioni feconde e sincere, stimola a ricercare ed a percorrere le strade del perdono e della riconciliazione, ad essere trasparenti nelle trattative e fedeli alla parola data»1.
Riconducendo questo discorso al nostro contesto culturale e territoriale, mi sembra sempre più chiaro che la tragedia del terremoto, in tutte le dimensioni che ha assunto, obblighi la componente adulta della nostra gente ad assumere, verso le nuove generazioni, la seria responsabilità di aprire la strada verso un futuro promettente e davvero a misura d’uomo.
In altre parole: ogni donna e ogni uomo di questa Città, che abbia conquistato una maturità cristiana ed umana, deve spendersi – costruendo intese stabili e compatte – per edificare una comunità solidale e vivibile, esercitando nei confronti dei giovani, dei ragazzi e dei bambini una “maternità/paternità” universale. Occorre, cioè, che le mamme e i papà escano dal perimetro esclusivo della propria famiglia e avvertano come una missione urgente quella di impegnarsi fino in fondo, perché tutti i ragazzi, che si affacciano sulla scena sociale e professionale, abbiano fondate ragioni per credere in un avvenire migliore.
Il testo del profeta Geremia (1, 17-19) ci ammonisce e, al tempo stesso, ci conforta:
siamo resi certi, infatti, che solo poggiando sulla forza di Dio potremo superare gli ostacoli che sembrano sovrastarci. Perciò, da veri cristiani, non dobbiamo spaventarci, né indietreggiare davanti alle difficoltà, anche quando ci appaiono immani ed incombenti: infatti, siamo messi in grado di vincere le sfide, che sbarrano i sentieri della nostra storia, perché l’Onnipotente è al nostro fianco, per aiutarci e salvarci.
L’impresa di costruire il futuro, tuttavia, richiede – insieme alla fiducia in Dio – anche la tensione a creare rapporti di comunione fraterna, a livello ecclesiale e civile. Senza una condivisa “politica del perdono”2 e senza l’audacia lungimirante del dialogo costruttivo non ci sarà possibile volare negli spazi alti della novità e della speranza. Anche per L’Aquila la ricostruzione sarà figlia della concordia, cercata e praticata con tenacia profetica. Va pure ribadito che questo progetto, corale e perseverante, non può essere delegato solo ai “vertici” istituzionali e amministrativi. Certo, anzitutto alle Autorità civili spetta il compito di promuovere e testimoniare la cultura dell’incontro e della coesione, che esigono il superamento delle contrapposizioni ideologiche e permettono di neutralizzare gli ingranaggi soffocanti degli interessi egoistici. Ma non basta allertare e monitorare – attraverso la vigilanza popolare – gli uomini di governo e gli apparati pubblici: occorre anche suscitare una mobilitazione civile, idonea a motivare e sostenere il sano protagonismo della base sociale, attraverso l’esercizio di una cittadinanza attiva, critica, prospettica e fattiva.
In questo orizzonte, diventa necessario immunizzarsi dalle polemiche dispersive e respingere le prospettive di corto raggio, restando fedeli alla consapevolezza che agiremo come autori efficaci della rinascita civile nella misura in cui tutti diventeremo responsabili di tutti. Ricordiamolo bene: o saremo uniti, o il miracolo de L’Aquila risorta non ci sarà! Oggi siamo chiamati a lavare i nostri occhi nell’acqua limpida della Perdonanza, per avere uno sguardo che non si ripiega nella nostalgia, ricordando solo L’Aquila com’era; e neppure si limita a scrutare L’Aquila come appare oggi; ma, con audacia creativa, sa vedere L’Aquila che verrà.
L’amore materno di Maria, Madre del Signore, vi abbracci e custodisca tutti; su ognuno di voi si posi anche il sorriso umile e benedicente di papa Celestino: vi accompagni ogni giorno della vostra vita, dandovi la consolante certezza che nel cuore di chi sa ricevere e dare perdono brilleranno sempre la luce e la benedizione del Signore: Colui che era, che è e che viene! Amen![/i]