Referendum giustizia, Petrilli: «Ecco la mia storia»

«La sentenza della Cassazione che, mesi fa, ha rigettato il mio ricorso per il risarcimento da ingiusta detenzione segna un altro passo negativo della giustizia in Italia. I giudici avevano tutti gli elementi per valutare la gravità di una detenzione ingiusta (sei anni di carcere per poi essere assolto dall’accusa di banda armata) e dei danni prodotti, ma hanno voluto scientemente non riconoscerli». A sottolinearlo, attraverso una nota, è Giulio Petrilli.
«Tre elementi sono di una gravità enorme – scrive Petrilli –
Il primo: dopo quattro anni di detenzione erano scaduti i termini della carcerazione preventiva, dovevo uscire dal carcere di massima sicurezza di Trani, i miei genitori mi attendevano fuori, l’agente penitenziario della matricola mi aveva chiamato come liberante e avevo preparato tutta la roba (il vestiario) per uscire. Arrivato in matricola, si sente arrivare un fax. Silenzio. Il brigadiere imbarazzato dice che c`è un nuovo mandato di cattura nei miei confronti, firmato dalla procura di Milano, in base alle dichiarazioni di un pentito, che proprio il giorno in cui dovevo uscire rende nuove dichiarazioni. Successivamente ho scoperto che fu chiamato dal pm della mia inchiesta, fatto venire dalla Sardegna dove viveva per rendere un nuovo interrogatorio a Milano.
Il secondo elemento: l’anno successivo, tante volte, con me hanno utilizzato il tristemente noto metodo Cagliari, che si suicidò. La tecnica era quella di dire al legale che avrebbero concesso la libertà provvisoria al proprio cliente, ma questa cosa non era vera e invece che la libertà comunicavano il rigetto dell’istanza. Dopo tante di queste situazioni, nel carcere speciale di Ascoli Piceno mi riscontrarono dei livelli altissimi di pressione arteriosa, ma non venni curato e una volta fuori una mattina mi sentii male, in ospedale la diagnosi fu ischemia temporanea. Terzo motivo, nel carcere di Bellizzi Irpino (AV) in pieno agosto eravamo privi di acqua, facemmo una normale protesta: la battitura, che consisteva nello sbattere padelle sulle sbarre, fui preso da un gruppo numeroso di agenti penitenziari e picchiato selvaggiamente, tanto da riportare una lesione permanente all`occhio sinistro».
«Per questi motivi – scrive Petrilli – avrei dovuto chiedere, dopo la sentenza di assoluzione, al Pm Armando Spataro, titolare dell’inchiesta e firmatario dei vari mandati di cattura nei miei confronti e ai giudici di primo grado che mi condannarono ingiustamente, un danno quantificabile in diversi milioni di euro, ma ebbi paura, che potessero emettere un nuovo mandato di cattura nei miei confronti. Non avevo solo paura, ero terrorizzato, ora che vorrei fare questa richiesta non posso farlo, perchè sono scaduti i termini. Sarebbe stata anche una richiesta tesa a far rispettare il famoso referendum sulla responsabilità civile dei giudici che fu vinto con il consenso di più dell`ottanta per cento degli italiani, ma non è stato mai applicato e i radicali oggi giustamente lo ripropongono».
«Oggi con questo comunicato stampa – conclude Petrilli – simbolicamente faccio questa richiesta, perchè l’incredibile ingiustizia che ho subito quantomeno non rimanga nel silenzio. Firmare per i referendum radicali è un invito che rivolgo a tutti e tutte».