
di Maria Chiara Zilli
L’Aquila continua a cadere a pezzi tra la polvere. La stagione delle demolizioni degli edifici gravemente danneggiati dal sisma del 6 aprile 2009 è sempre più intensa e la città pullula di strumenti ‘mangia-case’, impegnati a cancellare scheletri malfermi per fare spazio alla ricostruzione.
{{*ExtraImg_161303_ArtImgRight_300x192_}}Tra i muri che si sgretolano sotto i colpi dei ‘dinosauri meccanici’ scivolano il dolore e la speranza. Il dolore per i ricordi cancellati e annaffiati da getti d’acqua che solo in parte riescono ad arginare la polverosa caduta di pezzi di famiglia e di vita. La speranza per una casa nuova, bella, sicura e fedele al desiderio di mettere a letto i propri figli senza paure e ansie.
{{*ExtraImg_161304_ArtImgRight_300x192_}}Gli aquilani osservano con curiosità le operazioni di demolizione. Si fermano di notte ad osservare. Riflettono sulle pietre che scivolano, sui pilastri che si sgranano, sui poveri resti di un presente che sembrava eterno ed invece si è spezzato in una manciata di secondi.
Somigliano al rito della sepoltura queste drammatiche demolizioni: sono necessarie e servono a spezzare, almeno fisicamente, legami che nella mente saranno eterni. Rappresentano la crisi, la frattura, ma anche la consapevolezza di un passato che non tornerà, che poi è la base per guardare avanti.