Ju dialettu aquilanu de ‘na ote

13 ottobre 2013 | 11:25
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Ju dialettu aquilanu de ‘na ote

di Giovanni Baiocchetti

L’ipotesi sulla classificazione dei sistemi linguistici italiani, sulla quale oggi converge la maggior parte degli studiosi, è stata individuata nel 1975 dal dialettologo Giovan Battista Pellegrini, il quale propone la seguente suddivisione:

italiano settentrionale,
friulano o ladino,
toscano o centrale,
centro-meridionale
sardo.

Ognuna di queste aree prevede al suo interno ulteriori suddivisioni.

Il dialetto aquilano rientra in quella centro-merdionale. La parlata del capoluogo abruzzese, infatti, presenta caratteristiche per le quali può essere inserita nell’area linguistica “mediana”, che include il Lazio a est e a sud del Tevere (da Amatrice e Rieti fino ad Anagni e Priverno), l’Umbria sud-orientale (con Foligno, Spoleto, Terni, Norcia), le Marche centro-meridionali (il Maceratese) ed alcune zone dell’Abruzzo (L’Aquila, l’alta valle Aterno e il carseolano).

Tutti gli altri dialetti abruzzesi, invece, appartengono all’insieme dei dialetti meridionali, anche questo un sottogruppo del sistema centro-meridionale, che presenta solo alcune caratteristiche in comune con l’area mediana.

Le principali caratteristiche del dialetto aquilano e, più in generale, dell’area mediana:

. la “metafonesi”, un fenomeno fonologico che consiste nella modificazione del suono di una vocale per l’influsso di un’altra vocale; nel nostro caso, le vocali accentate -é- ed -ó- diventano rispettivamente -i- ed -u- per influsso delle vocali finali -I e -U latine (acitu per aceto, niru per nero, munnu per mondo, tunnu per tondo);

mentre le vocali accentate -è- ed -ò- possono chiudersi in -é- ed -ó- dando luogo alla cosiddetta “metafonesi sabina” (péttu per petto, péi per piedi, óssu per osso, fócu per fuoco);

. le assimilazioni consonantiche “progressive” dei nessi latini -ND-, -MB- e -LD- (si chiamano così perché è la prima consonante del nesso ad imporsi sulla seconda, come in munnu per mondo, commatte per combattere e callu per caldo);

. la cosiddetta “lenizione postnasale”, ovvero il passaggio dopo -n- dei suoni -k-, -t-, -p- rispettivamente a -g-, -d-, -b- (bangu per banco, monde per monte, cambu per campo);

. il nesso latino -L- + consonante può avere esiti diversi: la trasformazione in -r-, nota col nome di rotacismo (corteju per coltello, sordi per soldi, zorfu per zolfo, sérva per selva), la velarizzazione, ovvero il passaggio al suono -u- (cauze per calze, fauce per falce) o il dileguo (scomparsa della -l- come in na ‘ote);

. la caduta (apocope) della sillaba finale -ne o -re dopo l’accento (esempio: benedizzió per benedizione, pricissió per processione, pà per pane, fà per fare, vedé per vedere);

. la stessa sillaba -ne viene invece aggiunta (epitesi) a rimpiazzare in alcuni casi la sillaba -re caduta negli infiniti o a dare enfasi nelle affermazioni e nelle negazioni (fane per fare, vedéne per vedere, scíne per sí, nóne per no);

. l’uso del “possessivo enclitico”, ossia l’uso del possessivo postposto e privo d’accento con i nomi di parentela, soprattutto nelle prime due persone singolari (esempio: fijjemo per mio figlio, fratetu per tuo fratello, mammeta per tua madre);

. il cambiamento della vocale tonica nel passaggio dal genere maschile a quello femminile (spusu, spòsa; curtu, còrta; quissu, quéssa; signóre, signòra; signóri, signòre);

. la caduta di consonanti iniziali o interne (esempio: ‘anno per danno, ‘ice per dice, bée per bere, pèe per piede, cruu per crudo, rièra per rivera);

. l’uso di tenere per avere, quando quest’ultimo non funge da ausiliare (tengo tre ffijji = ho tre figli);

. la conservazione del neutro latino, attuata attraverso un particolare articolo determinativo (lo) usato con gruppi di nomi che non ammettono una forma plurale e con aggettivi e verbi sostantivati. Nel caso dei nomi, il dialetto aquilano mantiene la distinzione latina tra maschile e neutro che corrisponde a quella tra animato e inanimato; tale distinzione è passata ad indicare ciò che è determinato (singolare e plurale) e ciò che è indeterminato (solo singolare). Avremo, dunque, ju libbru e ji libbri (singolare e plurale) ma lo latte, lo pà, lo vinu, lo ranu (solo singolare) e così via. Esempi di aggettivi sostantivati sono lo bbonu (ciò che è buono) e lo bellu (ciò che è bello), mentre verbi sostantivati sono, ad esempio, lo rie (il ridere), lo pazzià (lo scherzare), lo commatte (il combattere);

. il mantenimento della tripartizione di aggettivi e pronomi dimostrativi, che in italiano si sta trasformando in una bipartizione (quistu per questo, quiju per quello e quissu per codesto, che ormai si sta perdendo nell’italiano comune). Lo stesso discorso vale anche per alcune entità avverbiali come (ecco, loco e esso rispettivamente per lí, lá e costí);

. altra caratteristica che dal latino si è tramandata fino ad oggi nel dialetto aquilano è l’uso della seconda persona singolare come forma di cortesia; in particolare, la parola assignurìa (vossignoria) sostituisce il lei ma con il verbo alla seconda persona (esempio: me lo sci dittu Assignurìa, letteralmente “me lo hai detto lei”). Tale forma è ancora oggi riscontrabile anche nel modo di parlare italiano di un aquilano, che passa molto facilmente dal “lei” (adottato in italiano come forma di cortesia) al “tu”, al contrario di quanto accade nella maggior parte delle regioni italiane dove per le forme di cortesia si usano esclusivamente il lei (nel nord) e il voi (nel sud).