Attualità

L’Abruzzo cade a pezzi

di Fulgo Graziosi

Le localizzazioni delle grandi infrastrutture, costipate in un territorio alquanto angusto, scricchiolano sotto il peso di gestioni poco accorte. Cede anche l’industria privata. Si profilano all’orizzonte tempi duri.

Nei nostri numerosi interventi, che si sono susseguiti negli anni, non siamo riusciti a far capire agli amministratori regionali che lo sviluppo socio economico di un territorio si programma scientificamente, dopo aver fatto una attenta mappatura delle vocazioni dei singoli territori. Tutto ciò non è stato mai fatto, come non è stata mai fatta una razionale analisi delle vocazioni territoriali. Anzi, si è fatto volutamente e caparbiamente il contrario per dare una dimostrazione del potere politico di coloro che hanno sempre ragionato, e continuano a ragionare, in termini di superiorità numerica dei rappresentanti presenti nel Consiglio regionale. I risultati dell’allegra gestione della cosa pubblica sono sotto gli occhi di tutti.

Proprio in questi giorni si diffondono notizie catastrofiche in merito alla gestione, al funzionamento, alla declassificazione e ai paventati fallimenti di infrastrutture importanti per l’economia regionale, localizzate in maniera irrazionale, inadeguata e improduttiva, specialmente sotto il profilo di una equa distruzione degli investimenti per cercare di equilibrare il Pil territoriale. La Regione, in maniera poco accorta, ha voluto penalizzare sempre di più le aree interne, favorendo gli insediamenti produttivi soltanto sulla fascia costiera, dove, necessariamente, ha dovuto realizzare anche gli adeguati servizi imposti dalle esigenze del caso. Così il territorio adriatico è stato anch’esso penalizzato attraverso la sottrazione di spazi vitali per un normale svolgimento della vita quotidiana. Basta porre la dovuta attenzione su particolari aspetti per rilevare criticamente che, su un piccolo fazzoletto di terra, sono state collocate, a stretto contatto di gomito, ferrovia, autostrada, porto, aeroporto, interporto e consorzio ortofrutticolo e, se non dovesse bastare, possiamo aggiungere anche la pista ciclabile, finanziata per ben 32 milioni e 500 mila euro in tempi di assoluta austerità del Paese.

Per evitare sterili polemiche campanilistiche, vogliamo precisare che non ci fa certamente piacere se alcune grandi iniziative soffrano crisi economico finanziarie o possano correre il rischio di drastiche chiusure, con gravi ripercussioni sull’intera collettività regionale e sui già precari equilibri occupazionali, soprattutto perché gli oneri fallimentari li pagheremmo tutti noi abruzzesi.

In tutto questo enorme pastrocchio, i maneggioni politici hanno impazzato attraverso la sola forza numerica dei voti consiliari, nella totale assenza di un qualsiasi supporto scientifico, capace di giustificare le dissennate scelte di localizzazione delle infrastrutture. Nessuno è stato in grado di intervenire per arginare questo degradante fenomeno. Non si è notato l’interesse e l’intervento della giustizia civile, penale, amministrativa. Non si registrato neppure un larvato intervento di qualcuno, almeno per salvare la faccia, che abbia speso una parola per denunciare alla pubblica opinione lo scempio della dissipazione di preziose risorse finanziarie regionali.

Oggi, la Procura pescarese ha messo le mani sugli atti fallimentari del Consorzio Ortofrutticolo Regionale di Cepagatti, a cui verranno negati servizi essenziali per il normale funzionamento, a causa di gravi inadempienze contrattuali. È vero che i cittadini non ripongono più la stessa fiducia di un tempo nella Giustizia. È pur vero, però, che esiste ancora un altro giudice, lento nell’azione, ma severo e irremovibile nel giudizio: il tempo. Infatti, può trascorrere qualche anno, ma la sentenza giunge inesorabile come un macigno sul capo dei responsabili. Responsabili che, guarda caso, restano immacolati moralmente soltanto per decorrenza dei termini, o soltanto perché richiamati a miglior vita.

Vorremmo affermare, ci sono anche gli atti amministrativi che lo confermano, che il Centro Ortofrutticolo Regionale, per effetto di un baratto degli investimenti, avrebbe dovuto essere localizzato nella Marsica, nelle immediate vicinanze dello svincolo autostradale di Avezzano, in cambio della cessione della realizzazione dell’Interporto a San Valentino, con conseguente declassamento di quello di Avezzano a semplice Autoporto. Cosa che, regolarmente, non è avvenuta, perché l’allora Presidente della Regione, dopo aver ottenuto la rinuncia degli Assessori marsicani, fece adottare “a maggioranza” il provvedimento di localizzazione dell’Ortofrutticolo a Cepagatti. Ecco i risultati. Forse, se l’Ortofrutticolo fosse stato realizzato nella Marsica, la importante infrastruttura avrebbe avuto migliore sorte, in considerazione del fatto che la Regione partecipa in maniera massiccia alla gestione dell’attività con quote pari al 74%. Non basta aver speso tanto. Attualmente, infatti, l’Ente regionale viene chiamato a risanare il bilancio attraverso l’acquisto dell’intero complesso commerciale e alla contrazione di un mutuo per restituire funzionalità gestionale al Consorzio.

Spendiamo poche parole per il centro intermodale di San Valentino. Praticamente, l’opera ha assorbito il sessanta per cento del finanziamento, pari a 100 miliardi di vecchie lire, che la provincia dell’Aquila era riuscita ad ottenere dal Cipe. Solamente dopo l’acquisizione di tale finanziamento cominciò a prendere piede la realizzazione dell’Interporto adriatico. Non prima. I restanti quaranta miliardi furono divisi, in parti uguali, tra gli Autoporti della Marsica e di Roseto. Dopo di che, sempre con i numeri, la Regione ha fatto spuntare altri tre autoporti, di cui uno nel teramano e due nel chietino, come se fossero funghi e nella precisa convinzione che tutti potessero entrare in esercizio regolarmente. Guardate cosa sta succedendo. Non entra in funzione nessuna delle costosissime infrastrutture e la Regione non sa cosa fare per giustificare le ingenti risorse che ha dovuto concentrare sull’Interporto di San Valentino, oltre i richiamati 60 miliardi iniziali. Inoltre, l’Autoporto della Marsica, anche se declassato, è stato portato a termine. Mancherebbe solamente qualche spicciolo per avviare il volano, ma non viene fornito solo perché condizionerebbe fortemente l’avvio di quello di Scafa. Allora, non si muove paglia, al solo scopo di evitare che l’opinione pubblica possa accorgersi delle poco oculate scelte e degli sprechi per finanziare opere che non entreranno mai in funzione. Alcune di esse non godono neppure dei requisiti fondamentali.

La ferrovia e l’autostrada sono state scelte sovraordinate. Ciò non toglie che la Regione e le Istituzioni locali avrebbero potuto ragionare con una diversa ampiezza di vedute per chiedere lo spostamento verso l’interno delle due infrastrutture, onde consentire una maggiore possibilità di vita ai centri costieri. Anche questo non è stato fatto, oppure sono state avanzate proposte non troppo convincenti.

In questa problematica si calano perfettamente le esigenze dell’aeroporto d’Abruzzo, inesorabilmente ingabbiato tra la città di Pescara, il centro abitato di San Giovanni Teatino, la strada statale Tiburtina fortemente inurbata e l’asse attrezzato anch’esso carico di insediamenti commerciali e industriali. Possibilità di una corretta espansione? Nessuna. Tra le tante inopportune polemiche di questi giorni, in ordine alla possibile apertura dell’aeroporto di Preturo, andrebbe ricordato che, proprio noi, in una apposita commissione ordinata dall’allora assessore Amicone, lanciammo un salvagente alla Regione per realizzare una struttura unica tra le due realtà, lasciando a Pescara lo scalo passeggeri e merci e spostando a Preturo la collocazione delle infrastrutture di servizio imposte dalla normativa vigente. L’idea, abbracciata con enfasi da tutti i componenti della Commissione, è stata lasciata cadere nel vuoto dagli organi politici responsabili. Risultato: bocciatura del progetto di finanziamento per l’ampliamento dell’aeroporto adriatico e conseguente inesorabile declassamento. Soluzione che non ci piace affatto e non piace neppure agli abruzzesi.

Sulla pista ciclabile vorremmo stendere un velo pietoso. La coscienza, però, non ce lo consente. Ancora oggi ci domandiamo come possa aver fatto un semplice Assessore a manipolare la volontà del Consiglio Regionale, mediante l’approvazione di una legge per lo specifico settore priva dell’indicazione (artatamente studiata) della copertura finanziaria. Dopo soli quattro mesi scarsi, lo stesso Assessore pone sul tavolo della Giunta il proprio cilindro da prestigiatore, dal quale fa spuntare risorse finanziarie per ben 32 milioni e 500 mila euro, come se fossero conigli o, meglio ancora, bruscolini. Non basta. Con arroganza e prepotenza, ma con scarso acume politico, nomina addirittura una commissione di monitoraggio per controllare l’esatto adempimento dell’esecuzione delle opere, affidando il compito ai quattro presidenti delle Province, senza considerare che la Provincia dell’Aquila non era destinataria del minimo finanziamento. Risultato. Ancora una volta favorita la fascia costiera, per cui il piano inclinato, sul quale poggia il territorio regionale, si è ancora più inclinato a favore delle aree adriatiche. Bellissimo esempio di riequilibrio dell’economia regionale, sulle cui sorti sono stati impiegati fiumi d’inchiostro, solamente inchiostro, e non risorse economiche e finanziarie.

Sulla scorta di questo saper fare, visto che la pubblica opinione non ha dato segni di riconoscenza e di gratifica di qualsiasi genere, i Consiglieri regionali hanno pensato bene di arrogarsi meriti che, certamente, nessuno avrebbe attribuito loro: l’istituzione del titolo di “emerito”. Ci voleva proprio. Nessuno di noi ci avrebbe mai pensato. Osservate quanto questo tiolo sia appropriato in questo memento in cui il “giudice tempo” comincia a chiedere la rendicontazione degli investimenti agli “emeriti spendaccioni“.

In tutto questo marasma, gli amministratori del Capoluogo di Regione che cosa fanno. Tacciono. Polemizzano. Corrono appresso alla realizzazione di operette insignificanti più di quelle regionali, come la fantomatica e impercorribile pistarella ciclabile San Giacomo Aragno, per la quale hanno speso pochi centesimi, soltanto un milione di euro. Gli esponenti comunali dovrebbero rimboccarsi le maniche e dovrebbero alacremente lavorare attorno ad un tavolo per elaborare idee, formulare proposte, possibilmente condivise con gli altri Capoluoghi di Provincia, per educare e condizionare la Regione a ragionare con visuali ben più ampie, possibilmente a 360 gradi, se veramente vogliamo concorrere ad un corretto sviluppo socio economico della Regione. Altrimenti, lasciamo perdere ogni ragionamento, continuando a seguire la politica della collocazione della piccola fontanella nei quartieri, nelle frazioni e nel contado, mentre vitali infrastrutture, come la Cermone Amatrice, cederanno il passo alle opere inutili. La stessa cosa dicasi per il fallimento del polo elettronico, la crisi occupazionale che affligge la Valle dell’Aterno, la Valle Peligna, la Marsica, la Valle del Vomano, l’intera area teatina e quella del Pescara.