
La costa abruzzese è una delle aree con la più alta concentrazione di appartamenti in cui si verificano episodi di sfruttamento a fini sessuali. E’ questo uno dei principali risultati che emergono da ‘Punto e a capo sulla tratta‘, primo rapporto sullo sfruttamento curato da Caritas Italiana, Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza), On The Road Onlus e Gruppo Abele. I promotori dell’iniziativa evidenziano, inoltre, come l’Abruzzo emerga, in senso negativo, per la mancanza di finanziamenti a progetti sociali.
I risultati dell’indagine sono stati presentati in un convegno a Montesilvano, la stessa città in cui il sindaco, Attilio Di Mattia, ha proposto provocatoriamente l’istituzione di box del sesso, sul modello Zurigo, suscitando non poche polemiche.
All’incontro hanno partecipato, tra gli altri, l’arcivescovo della Diocesi di Pescara-Penne, monsignor Tommaso Valentinetti; il delegato Caritas per l’Abruzzo, don Marco Pagniello; il responsabile dell’Ufficio immigrazione di Caritas Italia, Oliviero Forti; il presidente di On The Road, Vincenzo Castelli; la responsabile dello sportello di accoglienza di Abele, Eleonora Lucci, la coordinatrice del progetto Agar, Valeria Pellicciaro e il comandante dei Carabinieri della Compagnia di Montesilvano, Enzo Marinelli.
Nell’illustrare i dati abruzzesi, Castelli ha parlato di «fenomeni che ogni volta cambiano: siamo di fronte a persone con criticità di vario genere, dall’alcolismo alle dipendenze e ai problemi psichici e non solo vittime di tratta». «Cambiano, ovviamente – ha sottolineato – anche i luoghi: prima era solo la strada, ora ci sono le stazioni, i centri commerciali, le saune, gli appartamenti, i night club e perfino i giornali, per attrarre clienti».
Sottolineando che «la sessualità non è l’unico problema, ma c’è anche il tema dello sfruttamento lavorativo, come accade nella Marsica e nell’Aquilano», il presidente di On The Road ha evidenziato che è necessario lavorare su più livelli. «Per quanto riguarda la prostituzione – ha spiegato – il tema dei clienti va affrontato, perché molto spesso le ragazze vanno con gli uomini italiani. C’è una comunità che sfrutta un’altra comunità».
Altra criticità è quella delle risorse finalizzate a progetti in ambito sociale. «Lavoriamo solo con i contributi ministeriali e con il tanto discusso 8×1000, ma a livello locale è tutto fermo, mentre altre Regioni, anche vicine, ci supportano. In Abruzzo, a parte alcune residualità, come i Comuni di Pescara e Montesilvano, non vediamo neppure un euro. Questo – ha concluso Castelli – vuol dire che c’è il totale disinteresse di fronte a un fenomeno così grave».
Dal progetto Agar, portato avanti dalla Caritas di Pescara e dall’associazione ‘On the road’, è emerso che sono 250/300 le donne che si prostituiscono nell’area metropolitana pescarese, circa 60 delle quali in strada. Secondo le stime il 70/80% di esse è vittima di sfruttamento.
Questi risultati – ottenuti grazie all’attività della cosiddetta unità di strada, finalizzata ad offrire assistenza e supporto alle prostitute – sono stati illustrati dalla coordinatrice dell’iniziativa, Valeria Pellicciaro.
Le zone di maggiore affluenza sono la pineta di Pescara e la riviera di Montesilvano. Le donne sono principalmente romene (60%; 25% delle quali di etnia rom) e nigeriane (25%). Il 10% di esse è di nazionalità bulgara e non mancano donne provenienti da altri Paesi, come il Brasile.
Dalle attività portate avanti emerge, inoltre, che è vittima di sfruttamento circa il 95% delle nigeriane, mentre il dato è lievemente inferiore per le donne dell’Est Europa (50%).
«Il livello di consapevolezza e conoscenza del fenomeno – ha spiegato Pellicciaro – è molto basso: la differenza tra prostituzione e tratta non viene colta da tutti e, spesso, si crede che la prostituzione sia una scelta. E’ forte la necessità di approfondire la formazione e l’informazione su tutti i livelli. Si registra, inoltre, il problema della frammentazione del fenomeno: ogni ambito lo guarda in base al proprio punto di vista e in base ai propri compiti e alle proprie competenze. Mettersi insieme e fare sistema – ha concluso – consentirebbe di dare risposte più strutturate».