L’Aquila fra Halloween e ricordo dei defunti

31 ottobre 2013 | 05:42
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L’Aquila fra Halloween e ricordo dei defunti

di Raffaella De Nicola

Un sottile velo di seta, puoi intravvederle le ombre che si muovono ancora nei ricordi, separate ma incatenate per sempre a te.

E’ il giorno dei defunti, nell’autunno che muore, il dolore dell’essere che diventa il centro urbano di questa geografia cimiteriale, ma anche la leggerezza spensierata dei ragazzini o di chi li percepisce, i morti, come presenze e non maschere trasfigurate di Halloween.

Un velo ci separa da loro, i defunti, ma nei sogni si passa il solco e li rincontri, in un controcampo di abbagliante chiarezza, rassicuranti nella loro serenità. Elena cambia voce quando parla dei suoi, torna indietro bambina, si è svegliata mentre sua madre le stringeva la mano “[i]ma non era un sogno ne sono certa[/i]” e Federico ha sentito “[i]una carezza, vera, struggente, sfumata, la mano di mamma[/i]”.

Li cerchi, li richiami, li preghi di aiutarti e Maria l’ha pregata, quando era anoressica, sua madre, ma lei non rispondeva, non la sosteneva, fino a quando l’ha sognata, finalmente, “[i]con le mani spostava i rami frondosi su quella salita così faticosa, ma così faticosa, e mi ha fatto strada facendomi uscire per sempre da quel malefico vortice che non è vita[/i]” o Patrizia che ha salutato la sua cara amica, nella veglia del sonno, la notte in cui si è, purtroppo, improvvisamente spenta.

Altre, invece, sono presenze silenziose, inafferrabili, vorresti un segnale che non arriva mai, o forse viene con un linguaggio che non riconosci, e allora le rincorri nei fiumi dei ricordi, l’unica dimensione dove puoi ritrovarle, dove vivono abbracciate al tuo respiro. E non sai se pensare alla morte biologica, che tutto silenzia e fa finire, o all’anima, che forse sopravvive.

Invisibili ma non assenti, invadenti nella vuota presenza, il non vederli più non è dimenticarli.

Esploriamo la morte girando nel cimitero aquilano, ora abbandonato, curato molto fino a qualche anno fa, e ti perdi nei pensieri, senza risposte, che si avvitano su se stessi. Ora c’è vita, chiacchiere, le pennellate di colori esorcizzano la greve separazione con la mondanità di una gita, ricostituendo una vita parallela gemellata con la morte, con il mistero infinito della fine, curiosando fra le lapidi e immaginando vite sconosciute e luoghi misteriosi.

Niente a che fare con “dolcetto o scherzetto” consumistica, ed avulsa, litania anglosassone che nulla condivide con una terra che ha il nero del lutto nella propria bandiera. Qui la morte è un sentimento: sopravvive e varca l’Oltre, è scritto nella grana di questa terra in una profezia civica che periodicamente ti sradica e stravolge i parametri che vorrebbero essere normali ed invece sono grumi pesanti, perché avverti esistenze antiche mai conosciute. Ma c’è, in quella bandiera, accanto al nero, il verde, vessillo di rinascite e paradigma di un’intera esistenza, come quando la vita e la morte si contendono gli stessi ambiti in una lotta feroce.

Ed è la piccola Cecilia a raccontare che non ha avuto paura sotto la volta crollata “[i]perché, mamma, io non ero sola, accanto a me c’era una signora bionda[/i]” come tua nonna, ha pensato la mamma, mentre stringeva la sua bambina in una struggente energia dei ricordi, dei vissuti e delle memorie che confluivano in altre vite e in altre ere e si raccoglievano in un futuro a noi ignoto, ma antico e misterioso come il mondo.