La psicologia della lite

23 novembre 2013 | 17:02
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La psicologia della lite

di Gioia Chiostri

La realtà di oggi potremmo definirla come un agglomerato di individualismi che cozzano fra loro non parlando ma urlando. Ognuno ha un’opinione (e vorrei vedere!), ognuno ha una posizione, ognuno una laurea da far valere, ognuno un percorso da vantare. Ma cosa accade se quell’ognuno ne incontra un altro proveniente da binari differenti? Accade che se qualcosa non sta bene, si sfocia in una discussione. E si litiga, ci si arrabbia, si discute, ci si insulta. Questo perché non siamo più educati al rispetto per l’altrui pensiero. C’è superomismo, egoismo radicato; e dove c’è un muro, di certo non può spalancarsi la porta della comprensione.

Ma, al di là del motivo scatenante, però, ciò che è pericoloso in questi momenti è la carica di aggressività che può essere riversata nel litigio e rendere la discussione non solo inutile ma anche distruttiva. Questo accade perché esiste in molti la tendenza ad accantonare lì per lì le insoddisfazioni e posticipare il confronto con l’altro: in questo modo la rabbia viene sempre più compressa fino a esplodere in modo violento e fuori luogo alla prima occasione. Seguendo invece alcuni semplici consigli, il litigio, quando avviene, può trasformarsi in un importante momento di confronto e di crescita.

Quando la temperatura del litigio sale, un buon modo per calmarsi è quello di isolarsi: il distacco, infatti, aiuta a prendere le distanze dalle cause del litigio e a guardarle diciamo da ‘lontano’, con maggiore freddezza mentale. Da qui, discende l’importanza di criticare l’atto e mai la persona.

Apostrofare, di fatti, l’altro con frasi del tipo «Sei un disordinato cronico», «Sei uno stupido», «Tu non capisci», è la premessa per un litigio distruttivo. Importante è concentrare il discorso su un evento preciso, un comportamento, un’azione che non è piaciuta: l’altro sarà più propenso ad ascoltare senza sentirsi svalutato come persona.

Se il confronto diventa troppo serrato, gli esperti consigliano di proporre al destinatario della nostra ira, una pausa. Meglio prendere una boccata d’aria, bere un po’ d’acqua, ma lasciare la stanza in cui si stava discutendo. La rabbia si placherà e le idee si chiariranno come nubi dissolte all’orizzonte.

È stato un litigio costruttivo se dopo: ci si sente più leggeri, si ha voglia di fare qualcosa, si ha appetito.

Il gesto da non fare è rivangare il passato, andare a pescare nella memoria offese che si credevano deglutite e digerite. Affermazioni quali “fai sempre lo stesso errore” oppure “anche il mese scorso hai fatto così” non aiutano a discutere in modo sereno. Il litigio sano è centrato sul presente: se trascina avanti vecchie questioni, significa che ci sono dei nodi irrisolti da sbrogliare.

È la cosa più difficile da fare durante un litigio, ma la più importante: parlare lentamente. Aiuterà a chiarire i pensieri mentre li si espone.  Ascoltare l’altro senza interromperlo, poi, servirà a prendere tempo per riflettere. È stato un litigio distruttivo se dopo: ci si senti stanchissimi, si prova dolore in qualche punto del corpo (tensioni muscolari, mal di stomaco, cefalea), si rimugina sul motivo della discussione. Difficile prendersi il tempo al giorno d’oggi per rielaborare. Occorrerebbe forse reintrodurre il vecchio metodo di scrivere lettere di protesta e d’accusa al proprio nemico di frontiera: mettendo nero su bianco le proprie ragioni si riuscirebbe a osservarle meglio e capire se siano sostanziose o dettate da pure cecità.