
«Siamo al ridicolo: il protocollo Stamina si basa sull’utilizzo di cellule staminali molto pure, che sono tra l’altro caratterizzate e documentate presso gli Spedali Civili di Brescia. La conferma è contenuta nelle cartelle biologiche di ogni paziente presso la struttura ospedaliera». Così il presidente di Stamina Foundation, Davide Vannoni, replica all’articolo pubblicato oggi su La Stampa che rende noti i dati di verbali dei Nas e del comitato scientifico secondo i quali il protocollo Stamina non utilizza cellule staminali e presenta ulteriori rischi per la salute dei pazienti.
«Ci sono i documenti presso gli Spedali di Brescia – afferma Vannoni – che contraddicono queste accuse». Nel merito di quanto pubblicato, Vannoni sostiene che il comitato scientifico «non ha fatto alcuna valutazione della quantità di cellule staminali presenti nelle infusioni, avendo solo valutato il metodo sulla carta».
Quanto al riferimento alla visita ispettiva nel nosocomio bresciano da parte dell’Aifa nel 2012, il presidente di Stamina Foundation precisa che già nel 2012 «è stato diffuso un documento della Regione Lombardia nel quale si definiscono i risultati di tale visita ispettiva non corretti e si sottolinea come non siano stati raccolti i documenti relativi alla produzione delle cellule staminali».
«Nutro parecchi dubbi e non so come il comitato etico degli Spedali civili di Brescia abbia potuto autorizzare, a suo tempo, la sperimentazione con il metodo Stamina. Mi chiedo cosa avessero in mano per prendere questa decisione, perché anche con le cure compassionevoli non si può prescindere da un fondo di scientificità». Così anche Bruno Dallapiccola, genetista e uno degli esperti nominati dal ministero della Salute per valutare il metodo, commenta quanto riportato dal quotidiano La Stampa.
Dallapiccola non si dice comunque affatto sorpreso dalle notizie trapelate, come che non vi sarebbero quasi per nulla staminali nelle soluzioni iniettate nei pazienti, e che vi è il rischio di contaminazione: «ne ero già venuto a conoscenza un anno fa, dopo il sopralluogo dell’Aifa a Brescia – spiega – Sapevamo che qualcosa non funzionava, che c’erano delle contaminazioni. Nella nostra commissione non siamo entrati nel merito delle cose fatte a Brescia, ma avevamo il compito di valutare il protocollo, vedere se funzionava, su quali malattie potesse essere usato e su quali malati usarlo».
Essendo stretti da un vincolo di riservatezza, gli esperti nominati dal Ministero non possono entrare nei dettagli, «ma una cosa si può dire – continua Dallapiccola – e cioè che in questo metodo non c’è scientificità, né originalità ma vi sono invece dei problemi di sicurezza. Tutti i nodi stanno emergendo e verranno al pettine. I giudici del Tar del Lazio avrebbero fatto meglio a confrontarsi con degli esperti, prima di prendere la loro decisione».