
di Fulgenzio Ciccozzi
Il maestro Teofilo Masulli accogliendomi nel suo studio mi mostra uno dei suoi ultimi dipinti che riproduce un quadro del Patini (1878).
L’opera originale andò dispersa durante l’occupazione tedesca. “I notabili del mio paese”, questo è il titolo della tela, fu venduta all’asta nella bottega aquilana (Salon) del signor Antonio Frammolino, e venne acquistata dal professor Filippo Graziani di Villetta Barrea.
Della tavola dell’autore castellano se ne conserva un’immagine in bianco e nero, per cui riproporre la scena con l’appropriata atmosfera, reinventando i colori degli abiti dei personaggi e l’eloquenza dei gesti degli aristocratici, è stato un lavoro particolarmente arduo, ma il risultato, assolutamente stupefacente, denota l’alto profilo artistico raggiunto dal maestro.
Negli anni in cui l’opera patiniana venne esposta in città già iniziava a farsi spazio la nouvelle art fotografica. Qualcuno erroneamente ipotizzò addirittura la morte della pittura. Ma gli sviluppi artistici e il progresso delle comunicazioni cartacee degli anni che seguirono ci raccontano un’altra storia. Nell’Aquila postunitaria si evinceva tuttavia una certa vivacità culturale. Senza dubbio fu una piazza ambita per chi aveva velleità artistiche.
Pittori e artigiani, soprattutto delle città vicine, agognavano esporvi e insediarvi le loro botteghe. Ecco dunque nel 1874 affacciarsi al numero 39 di Corso Federico II lo stabilimento fotografico F.lle Fallerini di Rieti. I fotografi reatini eseguivano ritratti a mezzo busto della grandezza di cm 42×54 al costo di lire 60, pagabili a rate! Ma torniamo all’artista aquilano. Ci eravamo lasciati qualche mese prima di quel fatidico sei aprile, e mai avremmo potuto pensare a quello che sarebbe successo di lì a poco.
Nei suoi dipinti tornano come d’incanto, protagoniste dei trascorsi aquilani, le chiese, gli interni del “caffè” e dei salotti cittadini (La sala dei Teleri), le piazze (quella del Teatro che fa da cornice all’episodio della rimozione della statua bronzea del Patini).
L’abilità del Masulli, che si esprime attraverso una pittura figurativa ottocentesca, sta proprio nel coniugare sapientemente in una perfetta armonia gli elementi che compongono la tela. Le scene pittoriche raffigurano luoghi in cui si manifestava la vita della gente. E’ dunque impossibile non carpire in quelle immagini il vociare della folla, il brusio degli avventori e gli schiamazzi dei bambini che giocano.
Nel palazzo dell’antica famiglia fiorentina degli Ardinghelli era ubicato lo studio del Patini che in una tela è ritratto mentre sovrintende al trasferimento di un suo dipinto ancora da completare (Vanga e Latte). Nei paesaggi, impregnati da un’atmosfera quasi romantica, compaiono anche personaggi che hanno lasciato traccia nelle vicende secolari del capoluogo abruzzese. Il cardinale Agnifili, per esempio, è raffigurato nel cortile dell’omonimo palazzo mentre l’artista sulmontino Silvestro dell’Aquila scolpisce lo stemma della casata. Le immagini, in cui prendono vita le architetture semplici e complesse della città, dei suoi borghi, frutto di studi preliminari sugli accadimenti, sui luoghi e i costumi, narrano delle storie senza che ci sia il bisogno di apporvi dei commenti per enunciarne il significato.
L’arte sapientemente messa a disposizione della gente non può che consolidare il forte legame con il capoluogo, e senz’altro aiuta a non eludere il difficile compito del suo recupero, intimamente connesso alla sua e alla nostra storia.