
Signore, non è facile mettersi nei panni di coloro che, nel giro di due soli giorni, dovrebbero riflettere se “essere o non essere” ancora sindaco. Noi donne, forse, abbiamo un più alto grado di maturità per diverse e oggettive ragioni e, quindi, non ci troviamo tanto spesso al bivio di importanti dubbi amletici. Quale strada imboccare, quella di destra o quella di sinistra? Normalmente il dilemma cerchiamo di risolverlo a monte. Abbiamo maggiori capacità di discernimento e, perciò, scegliamo prima con chi condividere certi importanti percorsi, pieni di mille difficoltà. Non vorrei aiutare il massimo sindaco. Non ha bisogno del nostro aiuto per meditare e riflettere sulle scelte e gli errori commessi. Vorrei dire solamente, per addolcirgli la pillola e per tenerlo su di morale che se, a suo tempo, avesse valutato meglio i “compagni” di percorso e di vita, esclusivamente all’interno della sua famiglia politica, oggi non si sarebbe trovato in questa triste e penosa situazione. Voi che avete la possibilità di guardare ogni cosa dall’alto e con un certo distacco, cosa ne pensate?
[i]Figliola cara, anche noi abbiamo sbagliato. Ti domanderai: perché? Te lo spiego subito. Abbiamo peccato di presunzione. Abbiamo ritenuto, erroneamente, che attraverso le nostre battute sarcastiche, cariche di fine ironia, il primo cittadino avesse saputo leggere tra le righe i messaggi e gli avvertimenti che abbiamo voluto mandargli. Egli, invece, inebriato dalla poltrona sulla quale si era assiso, allettato dalla notorietà che veniva diffusa ad arte da alcuni organi di informazione, ha ceduto alle lusinghe delle “sirene” e ha finito per naufragare sugli scogli della vergogna e della solitudine. [/i]
Signore mio, condivido perfettamente quanto avete voluto benevolmente chiarire. Sono convinta anch’io che non sia e non possa essere il solo capro espiatorio. Troppa gente ha parlato e sparlato a nome del massimo sindaco, creando situazioni imbarazzanti sia a Roma che a L’Aquila, nelle quali il primo cittadino si è trovato coinvolto suo malgrado. Sono perfettamente convinta di quanto ho testé affermato e la riprova sta nel fatto che il papale candidato, nel goffo tentativo di offrire sostegno all’agnello sacrificale della ex Amministrazione comunale, ha finito col minacciare, con rabbia e presunzione, tutti coloro che oseranno parlare male del suo amico e della sua famiglia. Mi sembra un po’ troppo. Voi cosa ne dite?
[i]Mia cara, a noi, che non apparteniamo all’area laica, quando ci vogliono strapazzare ripetono l’annosa frase “senti da quale pulpito viene la predica”. Ebbene oggi, a pieno titolo, sono in condizione di restituire al mittente, in particolare a colui che si sente già candidato alla guida della zattera comunale, che questa usanza, questo modo di aggredire i colleghi di governo con il coinvolgimento di mogli, figli, parenti e affini è una prerogativa che appartiene solo ed unicamente al suo partito, più precisamente alla precedente segreteria del Pd. Basterebbe che il candidato in pectore affondasse la mano nella tasca della bisaccia dei difetti posta sulla sua schiena e non su quella che porta davanti, dove sono stati depositati quei pochi pregi ancora da dimostrare. Hanno dato in pasto alla pubblica opinione, linciandoli moralmente e materialmente, Berlusconi, i figli e i parenti fino al settimo grado. Se non è vero, lo dica agli italiani. Potrebbe uscire per il rotto della cuffia, come ha tentato di fare goffamente questa mattina, che lui non esce mai fuori dal seminato. Nel seminato, però, ci vive, ci alberga e ci ha fatto anche carriera. Forse, una citazione del grande Orazio potrebbe indurlo a misurare i termini e a evitare il pronunciamento di basse minacce. Vorrei dargli questo suggerimento nella stessa forma e con lo stesso spirito con cui, in passato, ho cercato di salvare dal baratro l’ex massimo sindaco: “Dum vitant stulti vitiae, in contraria currunt”. Nel nostro idioma corrente assume questo significato: “Gli stolti mentre evitano dei vizi, cadono nei contrari”. È chiaro il concetto? [/i]
Signore, più chiaro di così si muore. Ma, se non lo avesse capito, vorrei provare anch’io a suggerirgli di riflettere su una citazione di un personaggio la cui vita è più vicina a noi, Totò. Il principe De Curtis, quando voleva definire con ironia i ciarlatani, usava una espressione del genere, se ben ricordo: “L’ignorante parla a vanvera. L’intelligente parla poco. ‘O fesse parla sempre”. Che ne dite?
[i]Carissima, anche tu pecchi di coraggio. Infatti, non hai voluto dire al tuo evanescente interlocutore in quale delle tre categorie possa riconoscersi. Escluderei decisamente la seconda. Per il momento lo vedrei più nella prima, anche per la mimica che usa quando parla, salvo poi a rivedere il concetto nel corso del tempo. In questo periodo bisognerebbe tacere, riflettere, meditare, fare l’esame di coscienza, riconoscere i propri errori e soprattutto i propri limiti, cercare scusa a quanti, sono veramente tanti, abbiamo arrecato offese mancando di riguardo in ogni forma, specialmente ai cittadini aquilani e, poi, coraggio permettendo, bisognerebbe cambiare atteggiamento, tono, “stile”, se veramente si vuole il bene della città e dei cittadini elettori che bisognerebbe cominciare a rispettare. Altrimenti, chiudiamo le porte e cerchiamo di cambiare vita. [/i]
Signore mio, personalmente sono diverse volte che cambio vita. Sono rimasta vedova abbastanza giovane e con un figlio disoccupato a carico. Ho votato la sinistra con la mano destra e, adesso, rischio che mi cada anche la mano. Sono stanca di ascoltare le favole, come tutti gli aquilani benpensanti. Vorrei che mi fosse e ci fosse restituita quella dignità che ci consentiva di essere considerati e che ci faceva vivere decorosamente come cittadini abruzzesi depositari della storia e della cultura. Stiamo buttando al mare anche le qualità che abbiamo custodite per secoli con estrema gelosia. Prima che tutto ciò avvenga, Signore, richiamate la mia anima accanto a voi, in maniera che non possa assistere a questo prossimo sfacelo. E così sia.