Dimissioni. Sofferenze. Solitudine.

14 gennaio 2014 | 18:48
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Dimissioni. Sofferenze. Solitudine.

di Fulgo Graziosi

Deve aver trascorso notti insonni. Giornate dure quelle che hanno preceduto l’annuncio delle dimissioni del Sindaco, che non ha sopportato l’urto e l’onta dell’inchiesta “Do ut des”. Non è stata una frana che si è abbattuta sull’Amministrazione comunale. Alla frana si è unita la rovinosa onda devastatrice di un alluvione che ha riversato il fango peggiore sulla città e sui cittadini aquilani messi in ginocchio dagli eventi sismici dell’aprile 2009.

All’inizio, data la frequenza delle visite dell’allora Presidente del Consiglio, sembrava che si fosse instaurato un corretto e cordiale rapporto con il Sindaco, la città e i cittadini. Non c’è stata una richiesta del primo cittadino che non sia stata presa in considerazione. Con questo non vogliamo dire che siano state tutte esaudite, però, gran parte sono sotto gli occhi di tutti e di questo bisognerebbe prenderne atto.

Subito dopo, però, l’idilliaco rapporto costruito dal Sindaco è stato bruscamente interrotto, non perché si siano verificati momenti di incomprensione. Si allentarono, con ogni probabilità, per interferenze politiche della segreteria e degli uomini di partito perché, forse, temevano la cooptazione del Sindaco verso altri approdi politici. Questo concetto e queste riserve mentali non erano certamente nella mente di Cialente che, malgrado ogni sofferenza, venne costretto ad “obbedire”. È una semplice tesi, non una certezza, che oggi trova qualche conferma leggendo attentamente tra le righe i contenuti e le espressioni della conferenza stampa delle dimissioni.

Abbiamo potuto cogliere la tristezza e la sofferenza più nelle parole lasciate libere dai sentimenti, che non da quelle contenute negli appunti che, sicuramente, non aveva scritto da solo. Quei discorsi contenevano rammarico e non rancore, soprattutto per quelle cose che non aveva o non gli era stato consentito di realizzare come avrebbe voluto dal punto di vista strettamente personale.

Si è fatto carico di responsabilità, ancora non si capisce bene, scaturite dalle azioni di elementi interni e esterni all’esecutivo comunale. Prima di lui si è dimesso soltanto il vice Sindaco, direttamente coinvolto nell’inchiesta. Immediatamente, tutti si sono arroccati in silenzio sull’Aventino, aspettando lo sviluppo degli eventi. Questo atteggiamento potrebbe costituire la chiave di lettura della solitutine nella quale è stato lasciato il Sindaco dell’Aquila dai suoi colleghi di Giunta. Fino alla dichiarazione delle dimissioni non abbiamo potuto notare nessun segno di solidarietà a sostegno del vero ed unico capro espiatorio. Avrebbero dovuto dimettersi immediatamente l’intera Giunta comunale e tutti i Consiglieri di maggioranza per dare corpo, sostanza, senso e peso contrattuale ad un’azione di tutto riguardo. Invece, silenzio assoluto e partecipazione muta alla conferenza stampa.

Una sola nota positiva è giunta a sostegno dell’uomo che, con un nodo alla gola e con il cuore gonfio di tristezza annunciava di lasciare poltrona e incarico, ammettendo di essere poco adatto a ricoprire il ruolo per la soluzione delle infinite problematiche legate alla ricostruzione della città. Questa nota, guarda caso, è stata inviata dalla Spagna da un giovane studente, suo figlio. Non conosciamo esattamente i vocaboli usati dal ragazzo, ma il concetto è chiaro: “Se hai le mani pulite e la coscienza a posto, puoi adottare qualsiasi decisione e puoi camminare a testa alta”. Anche in questa comunicazione si avverte la sensazione della solitudine del Sindaco, altrimenti il ragazzo si sarebbe rivolto a tutti i compagni di avventura del padre.

Le manifestazioni di solidarietà, quelle di piazza, avrebbero dovuto essere offerte al Sindaco e all’Amministrazione prima dell’inchiesta. Forse, tante prese di posizione e tanti errori non sarebbero stati mai commessi e, oggi, gli Amministratori non starebbero a piangersi addosso, come di consueto.

Chiedere a un uomo distrutto nella propria interiorità di tornare sui suoi passi dovrebbe essere un’azione che dovrebbe far riflettere profondamente i promotori. La figura del Sindaco dell’Aquila, dal momento in cui ha annunciato di rinunciare all’incarico affidatogli dal popolo, ha fatto il giro del mondo con risvolti abbastanza negativi. L’eventuale ritorno in carica, senza alcuna certezza della soluzione dei problemi per i quali si è, bene o male, battuto, potrebbe costituire veramente l’esposizione dell’uomo al linciaggio materiale e morale proveniente da ogni parte. Potrebbe essere veramente il solo a rimetterci la faccia e non sarebbe giusto. Sarebbe appena il caso di avere un briciolo di rispetto per l’uomo politico, per il cittadino e per la sua famiglia. Sarebbe più dignitoso il ritorno maturato in seno alla propria coscienza, senza la sollecitazione, forse, di una parte di quegli “amici” che fino a ieri, con ogni probabilità, hanno steso davanti ai suoi piedi le bucce di banana per farlo “cadere”. L’ultima buccia di banana offerta al Sindaco, infatti, è stata quella di lanciare velenosi strali alla Curia locale. Non si salva la propria facciata chiamando in causa altre Istituzioni e altre persone. Si finisce per indicare ai cittadini chi sono quelli che vogliono trascinare nel fango una città che avrebbe bisogno di riconquistare stima, fiducia e apprezzamento. Oggi, come non mai, non avrebbe bisogno degli spargitori di fango.