L’Aquila abbandonata, ma quanti furbetti in giro

14 gennaio 2014 | 19:48
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L’Aquila abbandonata, ma quanti furbetti in giro

di Eleonora Ferroni*

Sono giorni di fuoco quelli che sta vivendo L’Aquila. Arresti, tangenti, mazzette, dimissioni nella Giunta comunale. Chi è aquilano come me – aquilano dalla nascita non per scelta di vita – e chi come me vive lontano dall’Aquila è stato travolto dallo scandalo della corruzione nella ricostruzione post-sisma come se fosse stato punito da bambino senza avere fatto nulla. Ricordate quando nostra madre ci puniva anche se non eravamo stati noi a rompere il vetro? La rabbia è la stessa. La delusione e l’amarezza sono le medesime. Non sono solo i politici o i costruttori ad essere indagati, a trovarsi sotto la lente d’ingrandimento della magistratura. Tutti gli aquilani, adesso, fanno i conti con la realtà, come mai in questi ultimi cinque anni.

Da quel maledetto 6 aprile 2009, ogni giorno, aprendo i giorni locali – e le sempre più rare volte che i telegiornali nazionali parlavano dell’Aquila – ne spuntava una nuova. Da quando Silvio Berlusconi arrivava a L’Aquila con caschetto annesso e abbracciava le vecchiette disperate dispensando consigli sulla ricostruzione e raccontando barzellette, a Bertolaso e alle sue telefonate vergognose con Balducci e Anemone, passando per la gestione dell’emergenza, per le gare di appalto truccate. C’è chi sul terremoto non ha solo riso quella notte, c’è chi sul terremoto non ha solo speculato nel corso degli anni. Quelli non sono aquilani, sono delinquenti e la magistratura farà il suo corso anche per loro. Ma c’è anche chi, purtroppo, è aquilano e ha approfittato del terremoto per arricchirsi. C’è chi è aquilano e non si è fatto scrupoli accettando (almeno sembrerebbe – le indagini sono ancora in corso quindi il condizionale è d’obbligo) mazzette a tanti zeri. Anche loro sono aquilani.

Quante scappatoie per i furbetti. La mancanza di controlli, la connivenza, il “lo faccio anche io, tanto lo fanno tutti”. Questa è stata L’Aquila per cinque anni. Almeno una parte di essa. La ricostruzione è partita e siamo diventati tutti architetti e ingegneri. Piastrelle costose, parquet, bagni con idromassaggio, catapecchie diventate chissà come case di lusso. Chi più ne ha, più ne metta. E quando i soldi sono finiti e mezza L’Aquila è rimasta un cantiere a cielo aperto, la città è tornata a bussare alle porte dei palazzi che contano a Roma chiedendo nuovi finanziamenti (quelli che il governo ci deve).

Ma siamo sicuri che il problema siano davvero (o soltanto) i politici corrotti o i fondi che rimangono a Roma e non arrivano nelle casse comunali? Siamo sicuri che i cittadini siano davvero innocenti in tutta questa vicenda? È giusto, ad oggi e alla luce degli ultimi avvenimenti, puntare il dito contro chi per anni ha ricevuto mazzette in cambio di favori. È sacrosanto cercare il colpevole. Ma perché, per una volta, non ci guardiamo in faccia e guardiamo a chi si è arricchito con questo sisma? Non parliamo di Berlusconi, Bertolaso o gli assessori aquilani corrotti. Sarebbe troppo facile accusarli. Parliamo di chi con una casa agibile si è fatto costruire una casetta provvisoria (M.A.P.), quelli che con fior fior di proprietà immobiliari hanno preso l’appartamento del progetto C.A.S.E. affittando a prezzi stratosferici appartamenti a chi davvero ne aveva bisogno. E poi ci sono quelli che sanno tutto e non dicono niente, perché “in Italia tanto si fa così”. E purtroppo è proprio così che va il nostro Paese.

Allora non meravigliamoci quando in televisione ci raccontano di gesti eclatanti come quello di Celso Cioni, direttore regionale della Confcommercio Abruzzo che lunedì scorso si è chiuso in un bagno di Bankitalia proprio a L’Aquila, con due taniche di benzina e un accendino minacciando di darsi fuoco se il governo non rivedrà «le condizioni del sistema bancario, almeno nei paesi del cratere e della città che è ancora militarizzata», aveva detto. Un grido dal basso, il lamento dei piccoli commercianti che non ce la fanno più ad arrivare a fine mese. La fotografia di una città (o di un Paese intero) ormai in ginocchio perché l’economia non gira e il governo non trova una soluzione per uscire dalla crisi.

Non meravigliamoci se qualche buontempone mette in vendita L’Aquila su ebay, il sito di aste on line più famoso al mondo come particolare forma di protesta (in omaggio al migliore offerente anche la poltrona del sindaco, lasciata vuota dal dimissionario Cialente). Non meravigliamoci davanti a questa e ad altre forme di proteste che si sono viste in città in cinque anni, soprattutto se pensiamo all’aria che ogni giorno si respira a L’Aquila (e chi scrive non vive ormai a L’Aquila da tre anni), e si legge bene dagli status su Facebook e sugli altri social network. I cittadini sono tornati a non sperare più nella ricostruzione. I cittadini non sperano più di vedere, un giorno, la loro città allo splendore di un tempo. Manca la voglia di combattere onestamente per il futuro delle nuove generazioni. Mancano le lacrime quando camminiamo per le vie di un centro storico che non c’è più da quella notte. Manca la voce quando, ormai sempre più raramente, protestiamo per far rispettare i nostri diritti a Roma. Manca l’appoggio di chi dovrebbe far ripartire un tessuto economico e sociale che ormai a L’Aquila è ridotto a brandelli. La vita si svolge nei centri commerciali. Gli aquilani si “incontrano” su Facebook e si lamentano di questo o di quel politico, di questa infiltrazione o di quella buca per strada.

Dopo lo scandalo delle tangenti, le dimissioni di Roberto Riga e di Massimo Cialente e l’inchiesta “Do ut des”, la città, o almeno chi ha ancora la voglia e la forza di protestare, vuole la “testa” del ministro Carlo Trigilia e il passaggio della delega di governo alla Ricostruzione dell’Aquila dal ministero per la Coesione territoriale direttamente alla presidenza del Consiglio dei ministri. La fase della ricostruzione è sicuramente stata gestita nel peggiore dei modi e i fondi sperperati. Come si suol dire, più in basso di così non potevamo cadere. Forse è davvero arrivato il momento per L’Aquila di rialzarsi. È arrivato il tempo per gli onesti che popolano la città (e ce ne sono tanti) di alzare la testa dalle macerie e di combattere per una ricostruzione giusta, trasparente, che rispetti il cronoprogramma nel minor tempo possibile. Ci sarà sicuramente un cambio al vertice, un nuovo sindaco, una nuova giunta. Ma è di onestà che la città ha bisogno, non di altri scandali.

[i]*giornalista Globalist.it[/i]