
di Fulgenzio Ciccozzi*
E’ ancora l’alba di una ricostruzione postsismica che si annuncia più lunga e difficile del previsto. Prima degli accadimenti ultimi, attraverso i quali si sono consumate le dimissioni del sindaco e le proteste del direttore della Confcommercio a sostegno delle imprese del luogo, era difficile porre l’attenzione sulla questione aquilana. Il fragore mediatico ha nuovamente solcato le vie dell’Aquila, guadagnando le prime pagine di [i]mass media[/i] nazionali e internazionali.
Gli effetti che deriveranno da questa rinnovata e in questo modo non voluta esposizione sono imponderabili. Sicuramente la città che dà il benvenuto al nuovo anno è frastornata, fiaccata, tradita.
Dal contesto “postbellico” che si è pesantemente abbattuto sulle nostre famiglie, molti hanno tratto e traggono degli indubbi vantaggi: alcuni, che le disposizioni legislative in materia, per certi versi opinabili, hanno reso legittimi, altri invece no. Ci sono invece persone che hanno perso o stanno perdendo tutto: il lavoro, le case e gli affetti. Gente anziana che forse non vedrà ricostruite in tempi brevi le abitazioni, giovani che probabilmente non resteranno in un luogo dove tutto è indefinito e cittadini di mezza età, sui quali ricade gran parte del peso della ricostruzione, che, nonostante le difficoltà, dovranno restare per ripristinare e finanche migliorare, paesaggisticamente e strutturalmente parlando, quello che il terremoto ha tolto loro e ai propri cari.
Quale è l’ostacolo, dunque? Esso probabilmente va ricercato soprattutto nelle debolezze umane, le quali ignorano le più elementari norme che regolano la vita comune. Ma, imperdonabile sarebbe divenire nemici di sè stessi. L’Italia non capirebbe.
D’altronde amministrare un territorio come il nostro non è cosa da poco e la continua conflittualità può generare solo confusione, indisposizione e malcontento.
Chiunque ricoprirà il ruolo di [i]pater familias[/i] della comunità aquilana sarà investito da un gravoso compito e dovrà operare delle scelte difficili. Scelte lungimiranti e coraggiose, dalle quali dipenderanno le sorti della nostra terra.
Solo così, forse, non ascolteremo più gli adolescenti chiosare: “[i]voglio andare via da questo c. . . di posto[/i]”. Sarebbe invece confortante ascoltare da loro altre parole: resteremo in questa città perché sarà più sicura, perché ci sarà lavoro, perché nasceranno progetti e idee che porteremo a compimento, perché si respirerà “il profumo dell’arte”, espressa in ogni sua forma, perché verrà ripristinato il concetto di bellezza, a L’Aquila, nel nostro territorio che difenderemo, promuoveremo e, se possibile, bonificheremo da improvvide opere edili partorite da insensibili menti umane, per le quali il concetto di ambiente ben lungi dall’essere contemplato.
E’ questa la scommessa del domani. Un futuro accompagnato da due parole che riassumono perfettamente i sentimenti contrastanti dei giovani aquilani di oggi: ali e radici. Quale dei due termini prevalga, dipende dalle decisioni che verranno prese in questi anni. Dopotutto, il terremoto non lo abbiamo certo cercato e purtroppo, a sentire alcuni commenti di benpensanti e a percepire l’indolenza dei palazzi romani, non abbiamo scelto noi nemmeno il Paese in cui viviamo.
*lettore
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