
di Fulgo Graziosi
Finalmente, è stato chiuso il farsesco atteggiamento delle dimissioni. Lo scalpitante Lolli ha raggiunto finalmente lo scopo di entrare in giunta. Dopo una lunga e travagliata gestazione il PD ha tirato fuori, a fatica, l’uovo di Colombo con il coinvolgimento di un illustre magistrato, Trifuoggi. Tutto questo a cosa è servito? Per la soluzione dei pesanti problemi sociali dei cittadini, per la ripresa delle attività economiche sul territorio e per l’acquisizione di ulteriori finanziamenti da destinare alla pubblicazione, la stasi temporale intercorsa tra le dimissioni e il ritiro delle stesse ha pesato in termini negativi sulla città, soprattutto sull’amministrazione, facendo precipitare al di sotto dello zero l’indice di credibilità dei nostri amministratori.
Con questa operazione il Sindaco dell’Aquila ha pensato bene di mettere un cappello sull’operato degli amministratori, cercando di attutire i negativi giudizi degli aquilani, degli abruzzesi, degli italiani, degli europei e dei cittadini del mondo che ci hanno seguito con attenzione fin dalle prime ore di quella fatidica notte del 6 aprile 2009. Non è un pensiero tutto suo. Esclusivamente suo e di nessun altro.
Prova ne sia che non è riuscito neppure a contenere la veemente reazione dell’ex vice sindaco posto sotto stretta attenzione dalla magistratura locale. La reazione è scaturita, naturalmente, da alcune frasi rilasciate in perfetta libertà dal sindaco ad alcune giovani giornaliste di un quotidiano nazionale. È giusto che Riga si sia risentito alla stessa maniera in cui il sindaco ha disapprovato l’articolo apparso tempo fa sul Sole 24 Ore. Non si possono usare due pesi e due misure, anche se questo tipo di giudizio sta nel DNA dell’attuale maggioranza. I cappelli dovrebbero essere calzati per completare e abbellire l’aspetto estetico dell’individuo, non per tarpare i pensieri altrui, o per non fare uscire allo scoperto i discorsi pronunciati nella segretezza delle camere blindate.
Che Lolli, disoccupato politico, scalpitasse per fare il proprio ingresso nell’esecutivo comunale era noto anche alle pietruzze antistanti la sede civica. Forse, sarebbe stato più opportuno non alzare, meglio ancora non creare, tanto clamore attorno ad una vicenda che letteralmente posto in mutande la giunta. Sarebbe bastato effettuare un piccolo rimpasto, eliminando qualche elemento non troppo comodo, oppure poco rappresentativo. Invece, per giustificare l’ingresso del “salvatore” dell’istituzione locale, è stato necessario alimentare odio, sconcerto e apprensione nella pubblica opinione, per poi annunciare trionfalmente l’arrivo del “messia”. Come potete osservare lo spettacolo continua.
Il grande prestigiatore, ma non è farina del suo sacco, ha tenuto in sospeso le attenzioni degli aquilani. Ad un certo punto ha dato anche l’impressione della rettitudine, della coerenza, della dignità, dando l’impressione di mantenere fede alla decisione delle dimissioni. Noi lo avevamo preannunciato fin dal momento del documento di rassegnazione nella mani del presidente del consiglio comunale. La lettera. Per la verità, non l’abbiamo vista e non ci è stata mostrata. Visti alcuni precedenti, non sappiamo, perciò, se esista realmente e se sia stata regolarmente protocollata. Comunque sia, sono fatti che non ci riguardano più di tanto.
All’improvviso, nella mente del prestigiatore balena l’idea di chiamare in giunta una figura di riguardo e di tutto rispetto: Nicola Trifuoggi, ex procuratore a L’Aquila e a Pescara. Non abbiamo nulla da dire su Trifuoggi. Anzi allo stesso va tutta la nostra stima e la migliore considerazione per il lungo e meritorio lavoro da magistrato svolto nell’arco di una lunga carriera. Non abbiamo ben capito, però, i motivi per cui sia stato chiamato a far parte della giunta, con la delega di vice sindaco e con quella a lui più confacente della legalità. Quale legalità dovrebbe assicurare? Quella di controllore dell’operato della giunta? Allora, avrebbe un bel po’ da lavorare con le antenne sempre alzate. Quella di supervisore e di coordinamento dei provvedimenti da sottoporre all’esame dell’assise comunale? È un onere assai gravoso e, soprattutto, impervio. Quella di assicurare una limpida, trasparente, chiara e veloce istruttoria delle istanze dei cittadini, smarrite e irrintracciabili nei meandri di una caotica e complessa organizzazione burocratica della macchina comunale, lasciata alla deriva dagli amministratori e di una poco attenta e disinvolta dirigenza che, per ammissione pubblica del primo cittadino, non ha saputo affrontare e risolvere alcuni progetti tecnici e amministrativi? Per cominciare a capirci qualcosa ci vorrebbe un filo d’Arianna lungo più della circonferenza della terra. Non basterebbe neppure. I cittadini vorrebbero e sognerebbero una sola legalità: quella della certezza dei provvedimenti adottati dagli organi comunali; dell’equità di applicazione delle norme, senza privilegi per le confraternite; la partecipazione diretta all’assunzione delle decisioni, nell’esclusivo interesse della collettività, per la ricostruzione vera del tessuto sociale locale, per la ripresa, lo sviluppo e l’evoluzione di una ricostruzione seria della città, la ripresa e il decollo di un serio sviluppo socio economico del territorio, capace di garantire dignità ai cittadini e prospettive occupazionali per le nuove generazioni.
Per realizzare tutto ciò è necessario produrre idee e progetti credibili da sottoporre all’attenzione delle superiori istituzioni. Con le dichiarazioni roboanti, con le minacce, con i proclami non si va da nessuna parte. Questa è l’ultima spiaggia per l’amministrazione aquilana. Non esitono altre prospettive. Occorre rimboccarsi decisamente le maniche per recuperare spazio e tempo inutilmente perduti e il percorso è tutto in salita.