Reazioni a catena: aspetti del degrado politico

25 gennaio 2014 | 10:11
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Reazioni a catena: aspetti del degrado politico

di Fulgo Graziosi

L’Abruzzo oasi felice. L’Abruzzo virtuoso. L’Abruzzo polmone verde d’Europa. L’Abruzzo ambientalista e paesaggista. L’Abruzzo degli abruzzesi di ferro, volitivi, caparbi, tenaci, costruttivi ha lasciato da tempo il posto ai disfattisti, ai dissipatori di sostanze pubbliche, ai grandi strateghi che giurano di aver rimesso ordine nei conti pubblici, di aver risanato i buchi neri della sanità, di aver saputo valorizzare le cospicue risorse umane, collocando gli uomini giusti ai punti giusti. Non è assolutamente vero. È uno spergiuro chi osa affermare il contrario.

I danni sono piovuti dall’alto. Non vogliamo indicare deliberatamente il Governo che diede inizio al degrado economico e sociale della nazione e delle Regioni, allora indicate sulle carte soltanto geograficamente. Ognuno di noi ha sufficiente memoria per ricordare ed altrettanto quoziente intellettivo per giudicare non le intenzioni, ma fatti e risultati.

Siamo agli inizi degli anni settanta. Lo Stato decide di dar vita alle Regioni con la prospettiva di avvicinare le strutture pubbliche al cittadino, ma con l’evidente riserva mentale di spalmare il debito pubblico centrale verso la periferia. Il progetto ha subito un processo di realizzazione fulmineo, mai visto prima una cosa del genere. La riforma è stata accolta e favorita da una pletora di politicanti che, proprio nelle Regioni, vedevano la possibilità di conquista di uno scranno carico di potere.

Per la verità, all’epoca, non avevano neppure ipotizzato la prospettiva dei vantaggiosi appannaggi che, via via, sono diventati sempre più consistenti. Ecco i risultati. Sono sotto i nostri occhi quotidianamente. Non facciamo in tempo nella mattinata a prendere visione dell’apertura di una inchiesta, che nelle prime ore della sera se ne apre una nuova e completamente diversa.

Il giorno successivo si cerca di dare un senso alle due operazioni, si cerca di trovare un nesso tra i due fatti e, mentre si discute, scoppia un altro bubbone indecente, a volte inconcepibile e irripetibile per non turbare l’animo dei più giovani. Intrecci di concussione, falso in atto pubblico, spese folli non giustificabili, manipolazioni contabili, sesso in cambio di assunzioni virtuali anche temporanee. Ultimamente abbiamo appreso dalle indagini, ancora in corso di evoluzione, che una segretaria “particolare” era stata assunta in un certo Ente con un compenso di 3.000,00 euro mensili e con l’impegno di una prestazione sessuale settimanale.

Altro non doveva fare. Infatti, risultava sempre assente. Ogni volta che questa zelante segretaria si “donava” costava, praticamente, alla collettività bel 750 euro. Meno male che si è trattato di una sola prestazione settimanale, perché se fossero state diverse la Regione sarebbe andata in dissesto finanziario. A questo punto dobbiamo dire che abbiamo toccato il fondo. A meno che non sia stato corroso anche questo.

Questi fenomeni, però, rappresentano soltanto un aspetto marginale della cattiva e disinvolta gestione delle sostanze pubbliche. Guardate cosa può essere successo nella scelta degli insediamenti produttivi di competenza regionale. Una maggioranza e una minoranza politica che non sono mai entrate in rotta di collisione. Tutto ciò la dice lunga.

Vorrebbe significare che gli interessi sono stati perfettamente convergenti. Non hanno neppure seguito la tesi di Moro, relativa alle convergenze parallele. La Regione ha amministrato solo ed esclusivamente seguendo la logica dei numeri, dell’aritmetica, della sopraffazione, creando due territori: uno carico di insediamenti di ogni genere e l’altro sprovvisto dei più elementari servizi. Territori diversi, incompatibili. Uno ricco e l’altro povero. Non basta. Perché al povero si rimprovera di non aver idee, di non avere capacità progettuali. E noi sosteniamo che la Regione non ha mai provveduto a colmare queste disparità. Non ha mai soccorso i più deboli. Anzi, quando ha potuto, ha cercato anche di asfissiarli. È un Ente nato male fin dall’inizio. È stata travisata l’idea del legislatore.

Lo Stato, inerme, ha assistito e consentito un dissennato saccheggio dei poteri centrali. Non ha saputo correggere gravissimi errori, come quello della legiferazione che ha fatto guadagnare alle Regioni l’equiparazione al trattamento economico, giuridico e assistenziale dei parlamentari. Le Regioni non avrebbero dovuto legiferare. Come in effetti non legiferano. Possono e devono elaborare dei regolamenti di attuazione delle leggi dello Stato, agendo nel perfetto rispetto delle regole e dei limiti dalle stesse imposti. Nel nostro caso, poi, le cose sono andate ancor peggio fin dagli albori.

Una Regione nata con l’inciucio, con il compromesso, con l’inganno, in perfetta antitesi con le precedenti disposizioni di legge. Infatti, il Capoluogo di Regione storico, consolidato, sancito dalla norma è stato brutalmente cancellato dalla sopraffazione numerica del voto. È stato diviso a metà. Nella prima parte è rimasto soltanto il nome. Nella seconda sono stati collocati gli assessorati più importanti, quelli che contano e dispongono di risorse economiche e finanziarie. Quelli che dispongono dei Bancomat e delle Carte di Credito per fare la spesa di famiglia, anche di quella allargata.

Qual è questa parte baciata dalla fortuna? Quella più povera? Non di certo. Sempre e solamente quella più ricca.

La Provincia, oltre alle prepotenze di una Regione irresponsabile da punto di vista politico amministrativo, ha dovuto subire anche le imposizioni dei coordinatori politici regionali, che hanno indicato collocazione, poteri e inamovibilità di elementi che l’attuale Presidente non avrebbe mai scelto liberamente. Non ha potuto sottrarsi, invece, alla imposizione dall’alto. Anche in questo caso le concussioni, il falso ideologico, la manomissione di atti pubblici, la canalizzazione degli incarichi e degli appalti, il sesso, non hanno difettato di certo. I miasmi generati dagli avvenimenti girano ancora nell’aria e non accennano ad attutirsi. Puntualmente è arrivato, proprio oggi, l’avviso della comparizione in giudizio per il Presidente e altri soggetti compromessi, rimettendo sotto gli occhi della collettività la “cloaca massima”, carica di nauseabondi scandali che, certamente, non ci fanno onore.

La civica amministrazione non brilla. È proprio il caso di dire che i cittadini italiani, a causa di un dissennato, disinvolto e discutibile comportamento hanno sollevato tanti clamori le cui scorie radioattive non ricadono soltanto sulla testa dei responsabili produttori, ma dell’intera collettività aquilana che si è chiusa nel silenzio per i danni materiali e morali subiti a causa del sisma e, ancor più, perché non accetta e non condivide i comportamenti dell’amministrazione comunale. Gli organi regionali del partito di maggioranza hanno ritenuto che gli aquilani avessero bisogno di un garante della legalità. Francamente non abbiamo ben capito a quale legalità si possa fare riferimento.

A quella dei cittadini certamente no, visto che sono proprio questi a subire gli effetti di una poco accorta legalità amministrativa. Se, poi, il ruolo della legalità debba, o possa, essere riferito agli atti della giunta, del consiglio e della dirigenza comunale, ben venga la figura di Nicola Trifuoggi, garante delle aspettative e dei diritti dei cittadini. Questa nuova figura, a nostro modesto avviso, porterebbe all’elisione dell’Ufficio Legale e della figura del Segretario Generale che, in effetti, dovrebbero svolgere pienamente ruoli e funzioni che si intendono delegare a Nicola Trifuoggi. Sarebbe un ulteriore doppione, una continua interferenza nei compiti da svolgere, che comporterebbero un notevole aggravio del già complesso macchinario burocratico comunale.

Come possiamo osservare, l’immane fungo atomico generato dalle esplosioni a catena, comincia a manifestare carenza di contenimento delle esplosioni scandalistiche a carico delle istituzioni presenti sul territorio regionale. Più si parla e più pettegolezzi girano per il mondo denigrando la dignità degli aquilani, che non meritano i severi giudizi della collettività nazionale e internazionale. Nessuno, guarda caso, si rende conto che sono proprio le polemiche da strapazzo ad innescare la miccia delle esplosioni a catena. Se un giorno si renderanno conto dei danni che stanno apportando alla comunità locale, dovrebbero tacere. Sarà, comunque, sempre tardi.