
«La richiesta di quattro anni di reclusione per il mio assistito? È la ‘tariffa’ standard in tutti i filoni della maxi inchiesta crolli».
Così l’avvocato Stefano Rossi, che assiste l’ingegnere aquilano Fabrizio Cimino, uno dei due imputati per omicidio colposo plurimo e lesioni nell’ambito del processo per il crollo in via D’Annunzio nella notte del 6 aprile 2009, dove morirono 13 persone, arrivato alle battute conclusive.
Nell’ultima udienza, aggiornata a giovedì prossimo, il pubblico ministero Fabio Picuti ha chiesto appunto la condanna a 4 anni per Cimino e l’assoluzione per l’altro imputato, Fernando Melaragno.
Entrambi sono stati indagati e quindi rinviati a giudizio per presunti errori nella ristrutturazione del palazzo del 2002. Documento cardine di questo procedimento è una perizia affidata dal giudice, Giuseppe Grieco, al docente di Scienza delle costruzioni del Politecnico di Milano Gabriella Mulas, già autrice nell’altro processo sul crollo della Casa dello studente del documento che ha portato lo stesso pm a chiedere condanne ma anche assoluzioni.
Su questa perizia nelle udienze precedenti c’è stato spesso scontro in aula con le difese, in particolare con il consulente della difesa Franco Braga, docente di Tecnica delle costruzioni all’Università “La Sapienza” di Roma, ex sottosegretario alle Politiche agricole nel governo Monti.
«Una perizia cattiva in alcuni punti, ma possibilista in altri», commenta Rossi che per quanto riguarda la strategia nella prossima udienza, quando sarà il turno della sua arringa, conclude: «Punterò a dimostrare che non è vero che c’è stata omissione e non è vero che ci doveva essere controllo».
Secondo la tesi accusatoria di Picuti, infatti, se Cimino avesse esaminato il progetto originario del palazzo, viziato da gravi errori di progettazione e vulnerabilità, avrebbe scongiurato la morte di quelle vittime del sisma: di qui la decisione di chiedere la condanna.