
di Giovanni Baiocchetti
Una mattina di febbraio, che poi tanto febbraio non è. L‘aria è sì quella frizzante del mattino aquilano, il freddo esce anche dalle nostre case abbandonate, ma il sole oggi è decisamente primaverile e c’è una luce forte, il Gran Sasso innevato abbaglia sullo sfondo, si sta bene anche in maglione…
La giornata inaspettatamente primaverile fa venir voglia di una camminata. Dove vado? Beh, in centro…tra i palazzi nobiliari, tra i monumenti, nel posto del bello, un posto pensato per passeggiare, per essere vissuto. Ormai ci siamo abituati, ahimè, a vedere puntellamenti e finestre sventrate, ma stavolta, ammetto, qualcosa è cambiato…
Sì, quasi tutte le case, i negozi, i palazzi, le chiese del centro aspettano i lavori, ma qualcosa brilla in tanto abbandono; c’è qualcosa che è tornato a splendere… Tra piazzetta Chiarino, S. Maria Paganica, la Villa Comunale, Corso Vittorio Emanuele e via Castello, alcuni palazzi sembrano brillare di luce propria. Sono le prime case ristrutturate del centro storico dell’Aquila, sono le nostre case. Nostre perchè la casa di tutti gli aquilani fino al 2009 era tra quei vicoli e quelle piazze. Ed ogni palazzo ristrutturato, vuoi o non vuoi, un sorriso te lo tira fuori. Anche la cupola di San Bernardino e la chiesa di Cristo Re sono pronte.
E stavolta, a differenza di qualche anno fa, quando un silenzio assordande ti circondava in quello che doveva essere il cantiere più grande d’Europa, un pò di lavori si vedono; tra via Garibaldi, via Accursio, via Verdi, via Fortebraccio ed altre, si sentono dialetti e lingue diversi, operai che lavorano per riconsegnare al mondo i primi tasselli di un mosaico unico.
E con le voci della gente che come me passeggia tra le piazze e le strade che ci hanno visti crescere, chiudo gli occhi e, per un attimo, l’incubo sembra finito. Dopo cinque anni si intravede forse una luce in fondo al tunnel. I progetti, le idee, il lavoro, qui, non mancano. All’Aquila di lavoro da fare ce ne sarebbe tanto. Ma purtroppo senza soldi, lo dico schiettamente, le case non si ricostruiscono da sole. E allora l’appello è di non far finire questo sogno. Sto sognando qualcosa che per un qualsiasi altro ventenne d’Italia è normale avere, qualcosa che nel 2000 si da per scontato: una città.
Abbiamo tanta voglia di tornare a vivere.