Un’analisi del terremoto aquilano

19 febbraio 2014 | 09:41
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Un’analisi del terremoto aquilano

di Claudia Giannone

Cosa accomuna antropologia culturale e giurisprudenza, nella città dell’Aquila? Cosa unisce un professore universitario e antropologo come Antonello Ciccozzi e un magistrato come Fabio Picuti? Da qualche anno, ormai, la risposta del capoluogo abruzzese è sempre la stessa: il processo alla Commissione Grandi Rischi. Non quello che è stato definito “processo alla scienza”, erroneamente, perché questo non è un processo al sapere scientifico in sé, ma un processo a degli scienziati.

Questo il tema dell’incontro che si è tenuto ieri all’Università degli Studi dell’Aquila, nella sede del Dipartimento di Scienze Umane, davanti ad un gruppo di giovani. Ancora una volta insieme, il professor Ciccozzi e il pm Picuti hanno esposto con cura l’accaduto, portando avanti le proprie tesi e illuminando i ragazzi sull’argomento. Iniziando con un quadro generale della situazione dell’Aquila prima e dopo il catastrofico evento, i due hanno descritto con più precisione alcuni aspetti fondamentali. Particolarità, differenze che potrebbero trarre in inganno, il tutto condito da teorie antropologiche e giuridiche, ma soprattutto da ricordi. Memorie di qualcosa che è stato, riflessioni su qualcosa che è e pensieri su ciò che sarà.

«Dopo una catastrofe – ha affermato Ciccozzi – ci si trova davanti ad una biforcazione: possiamo trovare un miglioramento o un peggioramento, andare verso una rigenerazione o verso un disastro. In questo momento, vedo L’Aquila come vedo il mondo: su una soglia. I cittadini sono puntellati, come lo è la città stessa. Cerchiamo di raccontare che le cose vanno bene, ma non è così».

L’antropologo, divenuto consulente dell’accusa proprio in seguito alla proposta del magistrato, ha anche parlato del libro scritto attraverso la propria consulenza. “[i]Parola di scienza”[/i] è una testimonianza, è un’illustrazione chiara e precisa di ciò che l’accusa vuole dimostrare.

«Sono tante le domande che mi pongo – ha proseguito il professore – ma non trovo una risposta. Ce la faremo a rimarginare le nostre ferite o siamo un macrorganismo estremamente viziato? È questa la normalità, o quella che c’è fuori dai confini della nostra città?»

Difficile trovare risposte. Anche se, come afferma il pm Picuti, è dovere delle istituzioni provare almeno a cercare delle spiegazioni davanti alle domande dei cittadini. Perché sono morte delle persone? Perché dei palazzi sono crollati? Che genere di selezione ha fatto il terremoto sui palazzi aquilani?

Gli scienziati della Commissione Grandi Rischi, secondo l’accusa, non analizzando un evento sismico, avrebbero agito alla pari dei costruttori che non hanno realizzato case a norma. Perché le credenze nei confronti della scienza sono state così importanti da influenzare le persone e portarle verso un destino assai crudele. Ed è sbagliato parlare di un processo per mancato allarme, quando in realtà l’accusa mossa nei confronti degli scienziati è ben altra: rassicurazione disastrosa. Davanti alle prove e alle intercettazioni, secondo l’accusa, è difficile credere a chi cerca di difendersi.

«Il terremoto ha creato una crisi negli aspetti del vivere sociale – ha affermato il pm – e una crisi nell’amministrazione della giustizia. Una crisi che riguarda qualunque genere di relazione. Noi dobbiamo dare delle risposte alla collettività». E allora, si spera che queste risposte arrivino al più presto. Perché ci sono persone che vogliono la verità. Genitori che si chiedono perché adesso l’unica cosa rimasta da fare è piangere sulla tomba dei propri figli. Domande a cui qualcuno dovrà rispondere.