
di Gioia Chiostri
Emergenza sociale e sanitaria al centro. Focus sul territorio, sulle ricchezze abruzzesi, sulle persone. Luciano D’Alfonso giunge ad Avezzano per guardarsi allo specchio nel confronto con l’elettorato marsicano.
Un incontro-scontro produttivo sui temi caldi del momento: la sanità, la gioventù, la disabilità, le associazioni di volontariato. All’Hotel Dei Marsi si è assistito ad un dibattito senza filtri. Il segretario del partito democratico provinciale Mario Mazzetti, ha introdotto alla platea i nodi che un possibile governatorato regionale si troverebbe poi a sciogliere, una volta eletto.
«La mia idea – ha dichiarato il candidato Presidente – è stata quella di creare una vera e propria dinamica d’ascolto fra chi andrà a rappresentarci alle primarie e alle elezioni, e chi punta ad essere rappresentato nel migliore dei modi alle Regionali, cioè l’elettore medio. Il vertice non è nulla senza la sua base; per questo ho pensato di riunire in un’unica sede personaggi importanti del mondo sociale e sanitario e personaggi politici, che saranno chiamati a governare come me e Peppe Di Pangrazio.
E’ d’obbligo per chi governa passare per la cruna del sociale, carpire i segreti del tessuto connettivo della comunità. Non si può governare se prima non si è vissuti i problemi e i dolori della gente. L’Abruzzo non è all’avanguardia in quanto ad attività socio-sanitaria. Si spera che questo tipo di incontri fra chi è in alto con chi è in basso, non avvengano solo in campagna elettorale, ma vi sia uno ‘scontro’ positivo sempre, senza gli orpelli della demagogia».
{{*ExtraImg_189404_ArtImgCenter_500x373_}}Presente il dottor Adelmo Di Salvatore, responsabile del SER.T di Avezzano (servizio di recupero tossicodipendenti), che ha focalizzato l’attenzione su un punto saliente della Marsica, ossia l’inefficienza o mancanza di adeguati trattamenti di fenomeni legati alla dipendenza. «In Abruzzo – ha detto – c’è proprio un buco nero in merito. Non abbiamo centri di disintossicazione regionali, e siamo costretti a portare i pazienti fuori Abruzzo. Neanche un posto letto per situazione d’emergenza o acuzie. In Abruzzo ci arrangiamo ma così non si va da nessuna parte».
«Una questione cruda – ha aggiunto il dottore – che voglio portare alla luce – è la legge regionale sul gioco d’azzardo regionale, un vero e proprio azzardo alla salute, secondo me. Ad Avezzano abbiamo quattro centri che si occupano di trattare questo tipo di dipendenza e per giunta senza il minimo utilizzo di farmaci. Le stesse farmacie dovrebbero essere controllate, perché prescrivono farmaci senza. La Regione, cioè, deve obbligatoriamente vigilare attraverso i comuni. L’organizzazione mondiale della Sanità da anni dice anche di monitorare anche le strade, per combattere gli incidenti stradali che accadono per abuso d’alcol o di droghe. Andiamo avanti passando sulla vita dei ragazzi e dei giovani. Bisogna invece incentivare eventi analcolici e che non concepiscano il consumo di droghe, benché considerate stupidamente leggere. Io, in rappresentanza del mio mondo, alla regione chiederò l’apertura delle comunità terapeutiche pubbliche, luoghi dove le persone, vittime di casi particolarmente difficili e con problemi di droga possono ritrovare sé stesse ed essere reintrodotti nel circuito sociale».
Le vittime della società sono anche quelle che dal mondo non riescono a farsi comprendere, che si scontrano col muro del sociale. Il dottor Vittorio Sconci, capo del Dipartimento di Salute Mentale della Asl, ha proposto a D’Alfonso questo delicato tipo d’argomento, che con il primo fa sicuramente il paio. «Questo – ha esordito – è un momento fondamentale per la sanità della nostra Regione e penso che il ritorno in politica di Luciano D’Alfonso rappresenti un valore aggiunto. L’ho sempre considerato come una persona forte, vera, vittima di un martirio cominciato otto anni fa, quando doveva presentarsi già allora come presidente della Regione. Viene da un’esperienza come sindaco di Pescara, quindi sa bene cosa significhi rapportarsi con il territorio. Quando penso alla sua vita recente non penso a cose tanto semplici, mi riferisco ad esempio alla sua vicenda giudiziaria. Fondamentale per me, come per tutte le persone che conosco, anche aquilane, è il rapporto diretto fra governo centrale e il mondo territoriale. Serve una persona che si sporchi le mani. Ebbene questo anello di congiunzione fra periferia e centro oggi è venuta a mancare. Noi aquilani purtroppo questo lutto rispetto ad un potere centrale lontano l’abbiamo sofferto molto. Come lo ha sofferto la nostra sanità, che deve incominciare a concepire la cultura del territorio che è inevitabilmente la cultura democratica; ossia quella concezione stretta fra democrazia e salute, partecipazione e salute. Noi dobbiamo fare una politica che sia la politica della cultura. Invece, in questi anni, abbiamo assistito alla cultura della politica, quasi che la scienza perdesse la propria umanità e si adeguasse ai bisogni del potere. La conoscenza dei nostri territori deve diventare la fonte della politica».
Massimo Mastrorocco, in rappresentanza delle associazioni che sul territorio si occupano di cure e tutele verso le persone ‘fragili’ della società, ha dichiarato di come siano trascorsi «cinque anni di politiche regionali e sociali che hanno portato ad una situazione totalmente disastrosa in Abruzzo. L’argomento cardine che voglio proporre a Luciano D’Alfonso – ha detto – è quello delle persone che hanno un handicap grave che sono costrette a vivere esclusivamente con e grazie all’aiuto delle persone loro vicine e in determinate strutture adatte ai loro bisogni. Vorrei capire se la regione preferisca avere una persona all’interno di una struttura pubblica o privata al costo di 800 euro al giorno oppure dare vita alle persone che scelgono di avere una vita autonoma nonostante siano affette da handicap, con costi che sono ridotti di tre quarti. C’era una legge in Abruzzo, la 95/99, che finanziava le associazioni che si occupano di handicap: nell’ultimo anno i fondi sono stati ridotti del 70%. La mia proposta è di portare avanti progetti di qualità. E di finanziare associazioni di qualità».
Luciano D’Alfonso così ha esordito: «Sono molto vicino alle realtà sanitarie d’Abruzzo. Io ho un fratello con tre tumori al cervello, di cui due tolti, e una sorella primario ospedaliero ed ho sempre sostenuto una cura che fosse valutata e soprattutto validata dalla comunità scientifica. La Sanità deve crescere, così come deve crescere la Regione. La politica ha perso recentemente autorevolezza perché si è allontanata dalle questioni vive, dalla carne viva della società che convoca e coinvolge le nostre realtà. Dobbiamo riedificare un sistema di politiche attive della salute in Abruzzo, anche arrivando a concepire come una situazione meritevole di politiche la stessa fragilità. Nella nostra regione, genera diritto la patologia e la bravura, invece bisogna capire che si genera il diritto anche davanti alla non piena validità o diversa validità. Dobbiamo, quindi, ritrovare la forza motrice della dignità della persona. Non ci sono alternative dall’occuparcene in maniera positiva, non è che se ci si scansa, si fa ossequio alla spending review. Io penso che le società si distinguono dagli ammassamenti perché nelle società quando c’è un problema scatta una risposta solidaristica. In questo modo si trasforma in un aggregato più forte chiamato comunità. Quest’ultima è una maniera di stare vicini che genera aiuto».
D’Alfonso ha ribadito come le esperienze comunitarie possano portare a forme di economia nuova, a nuove figure professionali. Il candidato ha portato come esempio lo spaccato della sua realtà di provenienza, dove, dice, «le donne adulte che sono dipendenti da videogiochi sono 2000. In questa regione dobbiamo nutrire tutto ciò che facciamo per la persona sulla base di dati. Fino ad oggi non abbiamo avuto un prodotto sanitario su misura della domanda di salute perché è mancata sua maestà l’organizzazione, nonostante equipe mediche d’eccellenza. E l’organizzazione si nutre di dati immagazzinati e calcolati. Se si fa un lavoro costruito sui dati e programmazione, ne escono di fondi per le politiche sociali, che meritano di essere prese in braccio da politiche comunitarie. Il prodotto salute lo fanno i camici bianchi: non confondiamo le scatole (tutte le strutture esterne della sanità) con la sostanza. Noi dobbiamo costruire una classe dirigente che sia capace di cercare risorse. Nei confronti della comunità c’è bisogno di motivazione e competenza. La competenza la si assume studiando, la motivazione vivendo il dolore degli altri. Per quel che mi riguarda il curriculum è un elemento di partenza, perché racconta il passato. I miei collaboratori dovranno avere motivazione; solo questa mi garantisce il futuro. La stessa rabbia che ha Renzi negli occhi, questo cerco. E io ne ho vista tanta nelle comunità abruzzesi».