
di Valter Marcone
Verrà maggio e avrà i tuoi colori. Ogni anno ad aprile i media, i politici, le istituzioni e l’economia ricordano l’evento del terremoto a L’Aquila. Gli aquilani non possono e non sanno ricordare allo stesso modo. Perchè quell’aprile dura ancora oggi. E’ ancora presente. Un lungo presente. Solo presente. Si chiama sempre aprile anche se è giugno, agosto, dicembre di anni che si sono susseguiti e si susseguono. Ogni mese dunque si chiama aprile e ogni anno è quello del mese di aprile. Perchè a distanza di quattro anni tutto o quasi tutto, nella quotidianità, è rimasto a quel 6 aprile, lunedì di una settimana santa. Ed è per questo che si aspetta maggio. Affrettati maggio, affrettati. Verrà maggio e avrà i tuoi colori.
Per essere un’altra cosa
Hanno portato via le macerie
e quello che resta sta lì
ed è come se l’avessero portato via;
insomma è venuto il mattino
si è fatto chiaro ma quello che è perduto
è perduto
è come un libro finito
un romanzo sfogliato. Ora vado di rado
per quelle piazze, per quelle strade
fingo che ci sei ma lì il freddo
è come quello della morte
e che se poi la morte ti fa sentire
tutto quel freddo
– il Signore ci aiuti – che morte è?
Io ci penso sempre
alla primavera di quell’anno
che fu di un solo colore
e a quel morso allo stomaco
che da solo fa schiantare il cuore.
Ed è stato da allora
che sono passati tanti giorni
come note, una nota alla volta
fino ad un si bemolle
pianissimo per dire si
alla presenza e all’assenza
alla vita e alla morte
alla tristezza di un’agenda
che sa contare solo il calendario.
Ed è tutta qui a pensarci bene
la storia ora di questa città,
un canto guidato ed è tutto qui
quello che è vita quello che è morte
suonate una nota alla volta
una nota alla volta
fino al rimbombo dell’ultima percussione
là in cima all’orchestra
come a dire, come a dire
– “Oh la vita, oh la morte“-
la vita che sostiene la morte
la morte che va
come un canto nella notte
in cerca, in cerca della vita
per essere
per essere un’altra cosa.
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