
di Gioia Chiostri
Tutti coloro che suonano Jazz, che hanno a che fare, cioè, con questo linguaggio sensoriale, oltre che musicale, sembrano essere d’accordo su tre direttrici portanti: il Jazz pervade e proviene da dentro, il Jazz è un bisogno, il jazz sfugge da definizioni troppo marcate. Per chi ha un orecchio per così dire non allenato al Jazz, chi insomma lo ascolta ‘da lontano’ ma tenta di sentirselo più stretto, più vicino, difficile è comprendere i tre assunti sopra riportati. Eppure così non è. Perché, in realtà, il Jazz è alla portata di tutti, è la musica forse più facile da amare e più facile da ‘gustare’, ma sicuramente più misteriosa da sviscerare. La sfida di oggi è stata questa: comprendere il Jazz assieme a chi fa del Jazz.
Alle domande de[i] IlCapoluogo.it[/i] risponde un sassofonista d’eccellenza, classe ’80, diplomato nel 2005 al Conservatorio dell’Aquila, ‘Casella’, e laureatosi poi nel 2011 con una tesi su Jerry Bergonzi e la didattica dell’improvvisazione nel Jazz al ‘Santa Cecilia’ a Roma. La nostra curiosità parte da una constatazione di fatto: che la musica jazz non sia così acclimata come dovrebbe fra la popolazione giovane, ma soprattutto nella terra marsicana, qualcosa si sta muovendo. Definiremo i contorni del jazz nella terra natia del musicista di cui ci occupiamo oggi, Francesco Cipollone.
In un parola, il Jazz. «In realtà questo ‘rompicapo’ – risponde l’artista – è stato già posto a molti musicisti illustri nella storia. Tra le risposte più famose mi piacciono e che ricordo con più affetto, vi sono queste: quando non sai cos’è allora è jazz (Alessandro Baricco); il jazz, se si vuole chiamarlo così, è un’espressione musicale; e questa musica è per me espressione degli ideali più alti. C’è dunque bisogno di fratellanza, e credo che con la fratellanza non ci sarebbe povertà. E con la fratellanza non ci sarebbe nemmeno la guerra. (John Coltrane); oppure: amico, se lo devi chiedere non lo saprai mai! (Louis Armstrong). Tutte quante racchiudono in se un po’ il significato di questa musica: è un qualcosa di viscerale, che deve venirti da dentro. Che tu sia un musicista o un ascoltatore quello che ti spinge verso il jazz è un qualcosa che non puoi spiegare, potrebbe definirsi come un bisogno fisiologico. Un po’ come andare al bagno, mangiare o amare una persona».
Perché scegliere il jazz? Cos’ha di speciale rispetto agli altri generi musicali? « Il Jazz non lo scegli, forse è il contrario. Sembra uno slogan ma è così. Non si può definire una scelta vera e propria. Io posso raccontare la mia esperienza: fino a 25 anni ho fatto solo musica classica e ad un certo punto, ascoltando la musica jazz, ho avuto il bisogno fisico di suonarlo. Potrebbe definirsi un vero e proprio innamoramento: attualmente è ciò che mi rende felice e che mi fa sentire vivo ed è per questo che poi si passa la vita a studiare e approfondire questo vero e proprio linguaggio».
Nella Marsica si fa Jazz? Hai avuto difficoltà a farti conoscere nella Marsica? «Diciamo che non mi sono mai posto questo problema – risponde Francesco – quando entri in questo mondo pensi solo a migliorare te stesso e a suonare quello che ti rende felice. Ovviamente il riscontro del pubblico è sempre molto importante perché è quello che ti permette di lavorare e fortunatamente credo che nella Marsica comincino ad apprezzare la mia musica».
La città avezzanese tende l’orecchio al Jazz? «Avezzano fortunatamente è molto attenta al jazz, infatti ci sono molti musicisti bravi e ultimamente stanno nascendo anche molte manifestazione al riguardo, come il recente Avezzano Jazz festival al quale ho avuto il piacere di partecipare
con il mio quartetto ospitando il famoso batterista americano John Arnold».
{{*ExtraImg_191670_ArtImgRight_333x500_}}[i]‘Now or Never[/i]’ è il cd – progetto (Blue Serge, 2013), come ama definirlo lui, risalente al 2012, frutto della sua passione, ossia il Jazz. «Ha avuto una lunga gestazione – spiega l’autore – l’idea era nata già due anni prima, quando iniziai le collaborazioni con Massimo Moriconi e Pietro Iodice che sono due musicisti di fama nazionale e non solo. Massimo è il
bassista di tutti i dischi di Mina, Concato, Baglioni, oltre ad aver collaborato con i Jazzisti di tutto il mondo, Pietro è un batterista eccezionale oltre ad essere il direttore della big band del Parco Della Musica a Roma e anche lui ha suonato con jazzisti di fama mondiale. Il pianista del disco, Francesco Marziani è invece un mio grande amico e uno dei migliori pianisti italiani. Ad un certo punto ho detto basta alle chiacchiere. Avevo cioè il gruppo perfetto per realizzare il progetto che mi girava per la testa. Allora mi sono detto: se non registro ora non lo faccio più questo disco. Da qui il nome del cd. Solo dopo ho deciso di inserire Walter Ricci come special guest alla voce perché avevo un mio brano che precedeva un testo e Walter è, a tutti gli effetti, uno dei migliori cantanti in circolazione (secondo me il migliore) nonostante sia giovanissimo».
Fonti ispiratrici? «Ovviamente tra i miei primi ascolti ci sono le registrazioni di Charlie Parker. Credo di poterlo definire ancora oggi uno dei più grandi geni che la storia abbia conosciuto. Naturalmente nel corso degli anni sono rimasto affascinato da moltissimi altri musicisti che, a loro volta, hanno fatto la storia di questa musica: Sonny Rollins, John Coltrane e Dexter Gordon sono i miei attuali mentori se parliamo di sassofonisti. In generale ho una profonda ammirazione per Bill Evans, Thelonious Monk, Wayne Shorter, ma avrei altri venti o trenta nomi da citare probabilmente. Tutti artisti che hanno dato un contributo fondamentale allo sviluppo di questo linguaggio, sia a livello compositivo che improvvisativo».
«Attualmente – conclude il musicista – sto lavorando molto con il trio Hammond. E’ una formazione in voga ormai da molti anni e prevede l’organo [i]hammond[/i] (che da un suono molto moderno al sound generale), la batteria e ovviamente il mio sax. E’ una formazione che da molte possibilità espressive perché ti permette di avere un[i] suond[/i] particolarmente incisivo e allo stesso tempo attuale. In questa formazione riesco a rivisitare anche standard della tradizione in chiave moderna e questa cosa mi da molti stimoli a livello anche di arrangiamento. Inoltre questa formazione ti permette di lavorare anche nei piccoli club senza perdere il groove necessario a coinvolgere il pubblico. Il mio prossimo disco sarà con questa
formazione: devo solo mettere a punto i pezzi adatti e i relativi arrangiamenti e decidere quale trombettista aggiungere alla squadra».
Il Jazz, insomma, è uno dei linguaggi codificati della musica: è un po’ come la colonna sonora armonica del mondo dell’io, quando fuori ‘tira’ solo rumore. Accordarsi col jazz è accordarsi con una passione. E se il jazz chiama è la voglia di guardarti dentro che risponde.
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