
I film in programmazione dal 20 al 25 marzo.
Amici come noi:
Pio e Amedeo sono due grandi amici che gestiscono a Foggia un negozio di pompe funebri high tech dal nome Hai l’Under (spelling foggiano di Highlander). Pio sta per sposare Rosa, una maestrina locale, ma tramite Amedeo scopre che in rete circola un video hard in cui appare la ragazza. Pio e Amedeo decidono allora di lasciare la cittadina pugliese (Fuggi da Foggia è la canzone di sottofondo) dirigendosi prima a Roma e poi a Milano. Operazione assai più produttiva che registica, Amici come noi cerca di mixare due delle scommesse vincenti della Taodue di Pietro Valsecchi: le commedie di Checco Zalone e quelle de I soliti idioti (il regista di Amici come noi, Enrico Lando, ha diretto tutti gli episodi televisivi di Biggio e Mandelli e i loro due film). Dunque come nel cinema di Checco abbiamo qui due “tipi etnici” che portano al Nord, e ad un certo punto anche all’estero, la loro “pugliesità”; e come in quello de I soliti idioti una sequela infinita di gag brillano per demenzialità, a tratti becera. Il copione, scritto a sei mani (fra cui quelle dei due interpreti), è interamente già visto, non mancano le strizzatine d’occhio a Mediaset e al suo proprietario (dalla citazione di C’è posta per te ai riferimenti al grande Milan, con tanto di calcio dell’asino a Galliani) anche se per fortuna le volgarità restano contenute. E qualche risata scappa, se ci si abbandona allo swing surrealmente kitch della vicenda. Amici come noi ha due frecce al suo arco: la prima è il ritmo comico con cui Lando gestisce le scene, passando da una situazione a quella successiva con un discreto senso di hellzapoppin’, complice anche la tendenza all’improvvisazione dei due protagonisti. La seconda è la presenza di Amedeo Grieco, metà del duo comico che ha raggiunto la popolarità nazionale attraverso Le Iene. Amici come noi è il suo one man show e l’attore “tiene” ogni singola scena con un’energia comica animalesca reminescente dell’Eddie Murphy dei tempi d’oro (quelli di Una poltrona per due, per intenderci). All’interno di una confezione filmica improbabile, improntata alla pura ricerca del successo di cassetta, Grieco riesce a trasmettere una personalità insopprimibile e una componente carismatica, pur restando entro i confini della più tradizionale (e trita) macchietta del “trucido terrone”. Alla fine, Amici come noi è il suo film. E questo, quale che sia il risultato ultimo del film in sé, è degno di nota.
Il ricatto:
Tom Selznick torna sulle scene dopo 5 anni di assenza. La più grande promessa della musica classica è stato a lungo lontano dai palchi a causa di una clamorosa figuraccia durante l’esecuzione di un brano particolarmente difficile, La cinquette, composta dal suo mentore e maestro, ora deceduto. Per il ritorno di Selznick è stato organizzato un concerto-evento durante il quale il pianista scopre di essere sotto tiro da parte di un cecchino che ha una lunga serie di buone motivazioni per costringerlo tramite la paura della morte ad eseguire alla perfezione un fuori-programma: La cinquette, proprio il brano che non era riuscito mai ad eseguire alla perfezione e dal cui fallimento sembrava non potersi riprendere più. Non c’è mistero nè volontà di nascondersi dietro un dito nel divertito calco che Eugenio Mira compie di molti stilemi della suspense hitchcockiana. Non solo il continuo riferimento alla Paura in palcoscenico ma anche l’uso estremo (e non troppo riuscito come effetto speciale) dei trasparenti all’interno di piani sequenza, i riflessi nel vetro che rivelano un dettaglio determinante o gli stratagemmi del protagonista per rigirare le situazioni a proprio vantaggio, tutto grida Hitchcock e lo fa senza vergogna. Come se volesse allargare a dismisura la dinamica della nota scena alla Royal Albert Hall di L’uomo che sapeva troppo, Mira lavora ad oltranza sulla dinamica di un uomo che ha un’arma puntata contro di sè all’interno di un teatro in cui nessuno è a conoscenza del fatto, per operare un’unica grande allegoria: stare su di un palco ed esibirsi avendo un’arma puntata contro come estrema concretizzazione della paura degli occhi puntati addosso. Il protagonista Tom Selznick ha il principale problema della paura di esibirsi (almeno prima di venire a sapere che il suo nuovo principale problema è un fucile puntato addosso) che in Grand Piano passa da fobia a rischio, cioè lo sconfinamento materiale di un concetto teorico, il fatto che al primo errore verrà letteralmente ucciso da uno sparo come del resto si sentirebbe morire se sbagliasse sotto gli sguardi di tutto il pubblico. Già compositore per diversi film Eugenio Mira coniuga le sue due passioni in un film che mette la partitura al servizio della trama, lavorando di passaggio in passaggio per inventare nuovi spunti che non rendano ripetitiva la situazione del povero Selznick, pianista pieno di talento costretto all’eccellenza alla stessa maniera e (sembra intuire) con la medesima violenza dall’opinione pubblica e da un cecchino. Forse per questo motivo il finale a (relativa) alta quota suona più corretto teoricamente, come tipica conclusione di una parabola hitchcockiana, che nella sua attuazione, grossolana e salvata solo da un indubbio divertimento nell’esagerare. Perchè Grand Piano è un film conscio della propria poca serietà che senza eccessive pretese mira ad intrattenere dal basso, divertendosi assieme allo spettatore. Nella storia che chiude il protagonista in una situazione apparentemente senza possibile uscita ma che in realtà conduce a molteplici cambi di ritmo, fronte ed eventi, esiste un’onesta ricerca del piacere dello stupore che inevitabilmente conduce ad un finale forse dalle proporzioni esagerate ma divertente se non lo si approccia con aspettative fuori luogo.
Non buttiamoci giù:
Martin, Maureen, Jess e J.J. si ritrovano la notte di capodanno in cima ad un palazzo. Non si conoscono ma sono lì tutti per il medesimo motivo: tentare il suicidio. La presenza di altre persone inibisce tutti e quattro, spingendoli a rinunciare e a stringere un legame basato sulle comuni difficoltà. Uniti dal desiderio di non ricadere nel baratro della voglia di morire cominciano a frequentarsi, vanno in vacanza insieme per sfuggire alla pressione che i media, accortisi della loro storia strappalacrime, pone loro ma al ritorno nulla sembra essere come prima.
Noi 4:
Tutto accade in una giornata di giugno, in una Roma afosa, assediata dal traffico metropolitano. Per il serio e timido Giacomo è il momento più atteso e temuto dell’anno: non solo deve affrontare gli esami orali di terza media, ma pure dichiararsi ad una sua compagna di scuola, segretamente amata. Intorno a questo importante appuntamento si muovono freneticamente anche gli altri membri della sua scombinata famiglia. La sorella Emma, ventenne idealista ed irrequieta che sogna di fare l’attrice di teatro, è tanto affezionata al padre quanto distante dalla madre. I genitori sono da tempo separati. Ma mentre Ettore, il padre, è il tipo di artista bohemien e squattrinato, simpatico ma chiaramente inaffidabile, specie agli occhi del figlio, la mamma Lara, ingegnere, si è dedicata anima e corpo ai figli e alla sua professione.