
di Maria Filieri
Passare un [i]week end[/i], o una settimana a casa dalla famiglia può sembrare un eternità, ma quando arriva il momento di ripartire la sensazione è quella di non avere avuto abbastanza tempo.
Per uno studente aquilano poi, le emozioni contrastanti credo siano elevate all’ennesima potenza.
La mia storia recita più o meno così: arrivare a L’Aquila il sabato, nel primo pomeriggio, scendere dall’autobus all’hotel Amiternum.
Neanche il tempo di rendersi conto di essere a Casa e avere già troppe cose da fare, amici da vedere, parenti da salutare, impossibile fare tutto!
Un giro in centro è praticamente d’obbligo, è come andare a trovare una persona ammalata in ospedale, farle vedere che ci sei e che anche se vivi lontano, tornerai sempre a farle un saluto.
E anche se generalmente la trovo ogni volta più “ammalata”, ogni tanto ci sono giornate in cui sembra quasi di essere tornati alla “normalità”.
Già, perché L’Aquila è una città anormale. È una città dove niente è più al suo posto, ammesso che un posto ci sia.
E poi si continua con l’aperitivo del sabato, con le serate fra amici andando a ballare, oppure restando semplicemente in macchina a riempirsi di chiacchiere.
Quando non fa troppo freddo, è bello passeggiare per il corso, nonostante il buio pesto e i puntellamenti, perché vedi gente, gruppi di amici che ridono, ragazzini seduti sotto i portici.
Ma un’amarezza a cui non mi abituerò mai, è quella di rientrare dopo aver passato una bella serata, in una casa che non è la mia.
E così, in un batter d’occhio è già domenica, la domenica in cui si mangia tanto e bene, la domenica di recupero. La domenica è quel pomeriggio che con le belle giornate mi piace passare in centro, cercando di intrufolarmi in ogni vicolo, inseguendo tanti ricordi. La vecchia scuola,il bar che frequentavo ogni giorno.
È incredibile come in un solo giorno ci si possa già abituare di nuovo ad una vita che non ci appartiene più da qualche anno.
La domenica è il giorno in cui pensi che domani sarà già lunedì, che dovrai ripartire e che la valigia semi vuota all’andata peserà moltissimo al ritorno, esattamente come la mia anima.
È proprio quello il momento in cui capisco di non aver avuto abbastanza tempo, che in fondo rimarrei volentieri a casa mia.
Nonostante di quella che io ricordo come casa mia sia rimasto poco o niente, nonostante le “99 rotatorie”, nonostante l’invasione di cantieri, nonostante la palpabile insofferenza delle persone.
E così riparto, sperando di avere più tempo la prossima volta, sperando di tornare il mese prossimo e vedere un po’ meno “ferite”, sperando che con il tempo la città che vedo corrisponda a quella che ricordo con uno sconfinato amore.