
di Gioia Chiostri
Secondo giorno di convegno, secondo giorno di commenti e parole sulla comunicazione in caso di rischio, di pericolo e di emergenza. L’incubo di un disastro naturale o sociale deve essere comunicato in maniera pertinente ed efficace ai cittadini. Non basta informare, ma occorre “indottrinare” il cittadino con consigli, moniti e soprattutto soluzioni condivise.
{{*ExtraImg_194939_ArtImgRight_300x449_}}Luciano D’Amico, rettore dell’Università di Teramo, ha ribadito come il suo mondo accademico offra agli studenti intenzionati a divenire abili comunicatori in caso di rischio, «un corso specifico, che conta, ad oggi, due anni di esperienza. Faro in Italia sul formare professionisti in grado di trasmettere messaggi di rischio e di emergenza alla popolazione». Il rischio non è la crisi, ma è un momento ante-crisi che infonde coscienza e consapevolezza nel cittadino in merito ad una ‘catastrofe’ che potrà o meno avvenire.
«La percezione del rischio – spiega D’Amico – fa leva su sensazioni pregresse, immagini di crisi già note ed elaborate attraverso le quali definire un nuovo caso di rischio. Il cittadino deve cioè essere messo in grado di possedere gli strumenti adeguati per definire e misurare l’emergenza che si trova di fronte. E questi stessi strumenti dovrebbero poi essere condivisi dalla sua comunità di appartenenza. Visionare nella mente l’immagine di una emergenza passata, condivisa ed elaborata con la quale confrontare una probabilità di rischio futuro è la chiave di volta per combattere la paura e l’ignoranza nelle azioni».
Luciano D’Amico ha poi definito il prototipo di un efficace messaggio di rischio: deve basarsi sulla pertinenza e sulla cooperazione. Il sogno o meglio lo scopo del corso in seno all’università teramana si identifica nel creare comunicatori che siano anche dei formatori di coscienza del rischio e del pericolo, che, a loro volta, andranno a formare altri formatori di coscienze. Una produzione di professionisti a cascata, che andranno a riempire città intere, tutelandole.