
di Giada Panetti
Mi fermai a pensare su una sedia troppo comoda per dei pensieri troppo
scomodi.
Stavi tornando.
Ti sentivo, ti annusavo, ricordavo!
Per qualche secondo toccai quegli anni così incoscienti, anni in cui non ti
chiedi mai che ore sono, anni in cui hai la piena convinzione che quel posto,
quella panchina, quel motorino e quelle mura non cadranno mai.
Sapevo che mancava poco al giorno in cui con una sottile cattiveria saresti
tornato a ricordarmi che ciò che credevo fosse per sempre, era solo l’illusione
di una strada perfetta distrutta nel momento sbagliato.
6aprile 2009 3.32 una data, un giorno, un’ora… minuti indelebili
nell’anima.
Giorno dopo giorno diventai grande amica dell’abitudine, una bestia cattiva
che con agilità entra nell’animo umano…
Così, condannando l’uomo alla
sopravvivenza condiziona inevitabilmente la sua esistenza.
Con gli anni mi sono resa conto di quanto il dolore sia un peso incolmabile
che ci portiamo dentro, di quanto il dolore abbia una certa attinenza con una
bomba composta da tante parti e destinata a scoppiare se non ci diamo la
possibilità di disattivare in tempo il dispositivo. Il dolore è un insieme di
sfaccettature che si manifestano nell’arco della vita come meno te l’aspetti.
Il dolore, spesso si nasconde dietro un atteggiamento apparentemente
superficiale, banale perennemente gioioso quando invece quell’atteggiamento è
solo una difesa, una copertura o meglio l’accettazione di quel trauma che è
diventato ormai parte di te… e inevitabilmente morirà con te. Scrivo questo
perché si avvicina il 6 aprile, giorno che ha cambiato la vita,a chi più chi
meno, ad aquilani e non… e mi piacerebbe che nessuno commentasse la
manifestazione di sofferenza sfogata da cinque anni a questa parte in ognuno di
noi… chi ha vissuto quella notte porta con se il suo dolore e nel rispetto
degli altri è libero di manifestarlo come meglio crede.