Sei Aprile

6 aprile 2014 | 04:40
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Sei Aprile

di Valter Marcone

Pensando al sei aprile di quell’anno, perché ormai l’anno del terremoto è “quell’anno“. Anche a ragione del fatto che è passato tanto tempo che sembra essere passata una eternità. Cinque anni in verità, una frazione insignificante di tempo, ma che assume nel conto del tempo di una vita un peso enorme. Tanto più se su questo tempo pesa dolore, ansia, alternarsi delle speranze, conseguenza di un sradicamento, perdita o assenza di rapporti.

Non va via la nostra

tristezza. Le case svegliate nel cuore

della notte sono ora un reliquario

di ossa e carne, di carne ed ossa

impastate, senza cuore.

Non sostituite il cuore di carne

della città con un cuore hi- tech,

è peccato e fa piangere la carne

e le ossa impastate.

La mia città dorme

al primo sole di aprile

ma la notte fa ancora un po’ freddo.

Come il freddo di quell’altra notte

di voci concitate, di polvere

e di buio. Il buio raccolto

con il cucchiaio, scolato

in un rivolo di vita ricercata, di vita

perduta. E più non dorme

in petto una speranza. Grida forte

ed è come il silenzio assordante

di una ricorrenza, di una memoria,

di un ricordo assolto dalla storia,

processato dagli uomini.

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