6 aprile, il dolore è personale

7 aprile 2014 | 15:40
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6 aprile, il dolore è personale

di Giovanni Baiocchetti

Torno a Piazza Duomo intorno alle tre di notte. Dopo aver camminato in processione con le fiaccole fin dopo la mezzanotte in ricordo di chi quel giorno ci ha lasciati, ho sentito di voler fare una visita al malato più caro, alle strade in cui sono cresciuto. Eravamo una fila lunghissima in processione, dodicimila persone a quanto dicono le stime. Poi, qualche minuto in compagnia di sole due persone per i vicoli dell’Aquila. Alle tre, dunque, torno in piazza e la Piazza è quasi deserta. Rimango semplicemente sorpreso.

Da cinque anni a questa parte, ormai, eravamo abituati ad un’infinita folla silenziosa che a testa bassa sentiva vibrare i trecentonove rintocchi delle 3.32 dai capelli agli alluci. Stavolta c’è davvero poca gente; la si potrebbe tranquillamente contare a mente.

Ma l’istinto mi fa subito capire che quel vuoto è il simbolo della vita che continua, quasi come un ossimoro. Ognuno di noi ha vissuto cinque duri lunghi anni, solo noi che abbiamo vissuto questo terremoto sappiamo cosa abbiamo provato e stiamo provando; c’è chi ha perso tutto, chi fondamentalmente ha perso poco, ma tutti noi, qualcosa, lo abbiamo perso. E ognuno di noi, dentro di sé, conosce il modo migliore per smaltire il proprio dolore, grande o piccolo che sia.

Il 6 aprile, per noi aquilani, non è il giorno della memoria. Il terremoto, per noi, è ancora oggi. Non è memoria ma presente e lo sarà ancora domani. E il ricordo di chi quella notte ci ha lasciati è vivo e lo sarà finché vivremo. Il 6 aprile diventa un simbolo per L’Aquila. Ma noi, noi che il terremoto lo abbiamo vissuto prima, durante e dopo, porteremo dentro questa esperienza per tutta la vita. Non ricorderemo solo il 6 aprile ma tutti i giorni. Non parliamo con chi ci ha lasciati solo il 6 aprile ma ogni sera, prima di dormire.

La vita, dunque, per la maggior parte degli aquilani va avanti. Ed arrivare alle 3.32 di notte non è facile per chi l’indomani deve, per esempio, lavorare. Si lavora perché noi ci siamo e, come ci ha detto il Papa che viene dall’altra parte del mondo col pugno chiuso in segno di coraggio, [i]”jemo ‘nnanzi.”[/i]

Ognuno viva il sei aprile come meglio sente di volerlo fare. Chi piange, chi pensa, chi parla, chi canta, chi dorme. Tutti hanno vissuto il dolore che nessuno potrà mai giudicare. Il dolore è personale. Tutti hanno il diritto di vivere come vogliono il ricordo del giorno che ci ha cambiato la vita e, più in generale, di vivere. La memoria è anche oggi.