
di Valter Marcone
Ciascuno di noi ha un suo modo per misurare il tempo. Il tempo che passa e non passa. Che corre o va a rilento. Il tempo che si fa attesa o diventa ricordo, in una sequenza di passato, presente e futuro. Che allinea giorni, mesi, anni.
Il tempo storico, lineare, della cultura giudaico cristiana (che ha in Cristo la cesura tra il prima e il dopo) a confronto con il tempo ciclico di quella pagana. Il tempo del mondo contadino che aveva nella nascita, matrimonio e morte le sue tappe.
E per tutto un altro verso, ancora, l’idea di tempo che si ha nell’infanzia, reversibile e lineare, con l’illusione, la voglia e la fantasia di poter tornare indietro. E quello ormai irreversibile dell’adolescenza, in cui la trasformazione è ancora una volta uno strappo.
C’è anche un “tempo delle stagioni“ dell’esistenza in senso del tutto metaforico (al di là di quello atmosferico), lineare e ciclico allo stesso tempo, e per questo pratico e fantasioso, cogente e irreale, che spesso impronta i percorsi della stessa esistenza. Ne misura il clima sentimentale, relazionale, emozionale in una, appunto, illogica progressione che, ad un certo punto della nostra vita, non ha più niente di progressivo se non l’avanzare degli anni anagrafici. E’ un mischiare e un rimischiare le cose in un avanti e indietro, in una destra e sinistra, in un prima e dopo, in veglia e in sonno, inquietudine e pacatezza.
Un tempo che mischia appunto la separazione, il taglio, l’allontanamento con il ritorno e la nostalgia; quello che dà inizio ad ogni cosa, alla biografia contro quello che è solo evanescenza e finiitudine.
Così, quando sempre la vita fa i conti con questo tempo, con le sue intemperie, è la poesia che ci aiuta a farci carico di svelare i confini. La poesia che diventa un “osservatorio di confine“.
“Da un martedì a un sabato” è però una personale misura di questo tempo dell’anima in particolari momenti della vita che tenta di far vivere un istante per il tutto, il tutto per un istante.
Da un martedì ad un sabato
Da un martedì ad un sabato
ho letto del viaggio delle navi
raccontato da Omero
e mi sono chiesto per dove fare rotta
ora che il mio vagabondare
corre dietro ad un amore
che tutto muove, Omero
e il suo mare.
Resta con me stasera
in questa silenziosa fantasia
che è come un paese d’estate
stracolmo d’inganni
tra odori, luci e rumori;
che è come il pensiero d’un dolore
d’altri tempi;
l’impercettibile lancetta
del desiderio che viene senza pazienza
nel controvento del rosseggiare
della sera
ed è quasi una deriva
tra sogno e insonnia.
Dove andare. Alla deriva, dentro perduto
avanza di nuovo,
ancora,
il desiderio di te
ed è un dolceamaro respiro, di tempo
inesauribile, d’inesauribile tempo.
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