Un quiz per il paradiso, il sogno di medicina

24 aprile 2014 | 10:24
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Un quiz per il paradiso, il sogno di medicina

di Gioia Chiostri

La chiave d’accesso per il paradiso è un test di 60 domande. Un’ora e quaranta il tempo massimo per cercare di strappare ai piani alti un biglietto di sola andata per la beatitudine eterna. L’altro ieri sono stati pubblicati on line i risultati del test d’ingresso per l’ambita facoltà di Medicina e Chirurgia. In tutta Italia, studenti di ogni età, si sono dati battaglia a colpi di matita copiativa e facoltà mentali affilate. Ma cosa c’è di sano e cosa d’avariato in un quiz all’ingresso di una formazione atta a produrre salute?

«Medicina e Chirurgia è, senza dubbio, una facoltà ambitissima a livello universitario – spiega Alessia Aromatario, rappresentate Udu di Medicina e Chirurgia Aq e membro dell’esecutivo – quest’anno abbiamo avuto la bellezza di 1053 iscritti, a fronte di 140 posti disponibili (più 20 per non comunitari) per medicina e 24 per odontoiatria (più 10 per non comunitari)». Una lotta all’ultima sedia, praticamente. Eppure, il test d’ingresso o quiz, come dir si voglia, è un ostacolo insormontabile per molti aspiranti medici.

«Quando parliamo di numero programmato – spiegano Alessia Aromatario e Andrea Fiorini, presidente del Cnsu – si fa subito riferimento al test di medicina, ma sono molti i casi di numero programmato locale che risultano essere un fenomeno che va contrastato. Lo sforzo degli ultimi mesi è stato soprattutto volto a stimolare un confronto con il Miur sul tema dell’accesso all’università dal test fino a all’orientamento in entrata. È stato soprattutto nell’ambito del Cnsu, tramite le mozioni presentate dall’Udu e gli incontri istituzionali con il ministro, che si è cercato di sensibilizzare il Governo a confrontarsi su questa tematica che oramai non può più essere rimandata».

L’Udu, uno dei tanti scudi studenteschi, cosa ha fatto e cosa pensa di fare sul fronte del numero chiuso? «A livello nazionale, l’Unione degli Universitari sta portando avanti da settimane campagne di informazione e sensibilizzazione sul tema del numero chiuso e del test d’ingresso, ribadendo quanto quest’ultimo sia uno strumento assolutamente non meritocratico in un paese dove il diritto allo studio stenta ad essere percepito come un’esigenza di tutti. In particolare, nei giorni subito prima e subito dopo il test, l’azione si è concentrata su iniziative quali la fotopetizione #smontiamoilnumerochiuso e assemblee che si stanno tenendo proprio in questi giorni in numerosi Atenei. Qui a L’Aquila, come ogni anno, siamo stati presenti con banchetti nelle facoltà per spiegare il perché della nostra perplessità sul sistema del numero chiuso e per raccogliere eventuali segnalazioni di irregolarità e fornire informazioni riguardo ai ricorsi. Lo scorso anno il maxiricorso nazionale dell’Udu contro il numero chiuso, dopo la scandalo del bonus maturità prima eliminato e poi reinserito nel conteggio del punteggio totale, ha permesso a L’Aquila a circa venti ragazzi di rientrare in graduatoria. Inoltre, in questa occasione l’azione dei nostri rappresentanti è stata fondamentale per permettere ai ragazzi di iniziare immediatamente il loro percorso universitario, altrimenti compromesso da circostanze che non dipendevano da loro, ed evitando che vi fossero studenti di serie A e di serie B».

È sulla bocca di tutti il caso di Bari e del plico manomesso. Nel capoluogo pugliese, infatti, lo scorso otto aprile, fu scoperto un pacco manomesso da cui mancava un plico contenente le domande del test. Il pacco manomesso arrivò nella facoltà di Economia di Bari, una delle sedi della prova, e, all’indomani dell’esame, sono stati in molti a chiedere l’annullamento del test e il sequestro di tutte le copie, temendo che qualcuno fosse entrato in possesso delle domande, potendone diffondere le risposte. Nei giorni successivi sono partiti anche i ricorsi al Tar di centinaia di studenti. «Il caso di Bari – sottolinea Alessia – conferma come, nonostante si facciano molti sforzi per rendere il test “perfetto”, questo abbia comunque dei vuoti. L’Udu ha sempre sollevato le criticità di questo sistema: non si vuole trovare il piccolo difetto, ma dimostrare che è l’intera macchina dell’accesso a numero programmato che va ripensata. Spesso, anche e soprattutto tramite il Cnsu, abbiamo chiesto ai ministri, Carrozza prima e Giannini ora, di aprire un tavolo di confronto per partire da un’analisi strutturale sulle criticità attuali del test».

Quello di fare il medico è un sogno di molti, ma pochi ci riescono. Pensate che un’università senza test sia la soluzione migliore per produrre professionisti consapevoli? «Le questioni sono varie: ogni professione è ugualmente importante, ma dato lo sbocco lavorativo “obbligato” di chi studia medicina, chi ha 19 o 20 anni e decide di cimentarsi con il test d’ingresso è conscio del fatto che si tratta di una prova che dà solo la possibilità di intraprendere un percorso lungo ed impegnativo. Spesso si ha l’idea che, una volta superato il test, si sia già medici o si abbia la strada spianata, quando non è assolutamente così. Per questo il test non è lo strumento in grado di selezionare chi davvero vuol fare il medico: a parità di preparazione, spesso si rientra per fortuna in base a quante domande si è o non si è risposto e in base all’ordine di preferenza delle sedi, quindi per questioni puramente “matematiche”. Considerato che i posti a disposizione ogni anno sono stabiliti dal Miur in concertazione con le Regioni e gli Ordini Professionali (in base al fabbisogno di medici), il punto è quanto si ha intenzione di investire sulla formazione e sulla sanità. Ambiti che, nel caso della facoltà di medicina, si intersecano indistricabilmente. Se non si interviene in questo senso, il test rimarrà l’emblema di una guerra tra poveri e la dimostrazione è il fatto che qualcosa di simile sta avvenendo con l’accesso alla scuole di specializzazione medica. Migliaia di studenti, pur avendo già sostenuto il test d’accesso a medicina anni fa e avendo completato il percorso di studi e acquisito l’abilitazione, si trovano ora a non avere la possibilità di specializzarsi subito, dato che i posti e le borse di studio sono stati drasticamente tagliati (e non perché non ci sia bisogno di medici, anzi), per cui le alternative sono o rimanere in un limbo che potrebbe durare anche vari anni o decidere, se se ne ha l’opportunità, di unirsi ai tantissimi giovani che abbandonano l’Italia».

Il test di quest’anno è stato giudicato più ostico rispetto a quello dello scorso anno. E’ davvero così? Quanto ha inciso il collocarlo ad aprile? «Il numero di iscritti è sceso rispetto agli anni precedenti, non solo a L’Aquila, e già questo avrebbe dovuto essere un campanello d’allarme. Se fino ad ora studiare per il test sin dalla primavera era una scelta dei ragazzi, con lo spostamento del test ad aprile è diventato un obbligo, che peraltro mal si concilia con il normale studio che uno studente dovrebbe affrontare in vista dell’esame di maturità. Già in sede di Cnsu come Udu ci eravamo espressi contrariamente al test ad aprile. Il passaggio dalle scuole superiori al mondo universitario è un momento delicato e che adesso presenta delle forti carenze in termini di orientamento. I punteggi pubblicati in questi giorni, con risultati nazionali ai minimi storici, non sono che l’ulteriore testimonianza di un sistema che è sbagliato in principio».

Avete ascoltato qualche lamentela da parte dei ragazzi che lo hanno affrontato? «Fortunatamente qui a L’Aquila – risponde Alessia – il regolamento sul corretto svolgimento del test è sempre stato rispettato e non ci sono state segnalazioni di scorrettezze da parte dei membri delle commissioni o di chi vigila affinché tutto si svolga con trasparenza».

A luci spente, si va a tentoni ovunque. La strada per il paradiso fatto di siringhe, taglia e cuci, alcool etilico e quant’altro, ha qualcosa del deserto. Si è soli con la propria preparazione, davanti ad un cruciverba di possibilità. Dovrebbe essere il merito l’unico ago della bilancia.