Avezzano accesa dai fuochi

28 aprile 2014 | 06:51
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Avezzano accesa dai fuochi

di Gioia Chiostri

Il fuoco non ha età. Ha mille facce, mille simboli, mille misteri in corpo. Ma ad Avezzano, la vita della fiamma si riassume in una sola sera, quella del 26 aprile. Si parla della vigilia della Pietracquaria, l’evento religioso e laico al contempo più importante per la realtà cittadina fucense.

La simbologia dei fuochi, che, scoppiettanti, sgorgano qua e là accendendo uno dopo l’altro tutti i quartieri avezzanesi, è legata al concetto di voto devozionale in onore della Madonna. Un po’ come se ogni falò sacro rappresentasse un pensiero rivolto al cielo dell’Altissimo.

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Ogni zona della città ha allestito la propria piramide di legna: un’usanza che soverchia gli anni e le epoche e che ha sempre unito in un nodo invisibile tutte le generazioni viventi. I fuochi, o meglio noti come Focaracci, sono testimoni di un rito che sta a rappresentare l’indissolubile legame che Avezzano ha nei confronti della sua Madonna, la quale ha amalgamato la sua immagine sacra al popolo di Avezzano sin dal 27 aprile del lontano 1779, in cui, per la prima volta, la sua effige venne portata in processione per le vie di Avezzano.

Il popolo sperava nel miracolo della pioggia, dopo un lunghissimo periodo di siccità che causò scarsi raccolti. Le numerose ed enormi fiaccole che hanno illuminato la strada diretta al Santuario, situato sul Monte Salviano, hanno dato vita, ieri notte, ad uno scenario spettacolare, sovrastante la città di Avezzano. Ma, allo stesso tempo, si sono rese testimoni di un momento di profonda devozione sentita nell’anima degli avezzanesi.

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IlCapoluogo ne ha visitati alcuni che rievocano la mappa della città in base alla pieve d’appartenenza. Il fuoco a Piazza Torlonia, di fronte alla sede comunale, ricco di gente attorno. Il fuoco di Via Napoli, accompagnato da un altarino recante l’immagine della Madonna stessa contornata di fiori. Il fuoco del Concentramento, il più grande in assoluto. Anatolia Tiberti, avezzanese appartenente al quartiere di Pucetta, così ha commentato la notte dei fuochi: «Devo dire con molto rammarico che non è stato come gli altri anni. Credo che la ricorrenza non sia sentita più come una volta. Io appartengo al quartiere di Pucetta e il fuoco della mia zona è sorto in un punto preciso di via America che ha un nome particolare, ‘Chiusaresta’. Con il mio gruppo di amici, sono salita fin sopra il santuario della Madonna, passando per la Via Crucis, per vedere Avezzano tutta illuminata dall’alto: uno spettacolo epico. Il fuoco più grande credo sia stato quello di Madonna del Passo, ma eleggo fuoco più bello senza dubbio quello del mio quartiere di provenienza. Il lato negativo è che quest’anno molta gente se ne è stata a casa propria piuttosto che scendere in piazza ad ammirare i Focaracci, allestendo magari un piccolo falò simbolico davanti la propria dimora.

Anche la particolarità dei canti intonati a Maria di Pietraquaria o la voglia di stare insieme, o l’obiettivo di fare meglio degli altri, quest’anno non si sono sentiti affatto, ed è una cosa che mi ha rattristato molto. Stamani, invece, c’è stato l’incontro con la reliquia della Madonna, la folla presente era numerosissima. Le antiche tradizioni vanno, a mio avviso, continuate, nel bene e nel male».

Federica Del Prete, ex studentessa all’Università degli studi di L’Aquila, al contrario, così, oggi, ricorda la notte appena trascorsa: «Come ogni anno, insieme ai miei amici, la sera del 26 aprile mi ritrovo a girare per la mia città per festeggiare una delle ricorrenze che più amo: i “focaracci” in onore della Madonna di Pietraquaria. È tradizione, ormai, ritrovarsi tutti insieme a ridere e scherzare davanti a quei fuochi che annualmente illuminano Avezzano».

«Generalmente – continua – ci rechiamo subito alla piazzetta della chiesa dello Spirito Santo, divenuta oramai, in occasione dell’evento, un vero e proprio luogo di ritrovo con musica, balli e tante risate. Ieri sera, però, abbiamo notato un gruppo di persone davanti la piazza del vecchio comune e abbiamo deciso di iniziare la serata proprio lì. Il fuoco che vi abbiamo trovato era una vera e propria torcia che ardeva in tutta la sua bellezza. Trovo questa ricorrenza particolarmente affascinante, è un qualcosa che caratterizza la nostra città e che la fa brillare tutti gli anni.

È un modo per stare insieme, divertirsi e anche distinguersi dalle altre città nella maniera in cui solo una festa patronale può fare».

La lingua di fuoco anche quest’anno ha fatto il suo dovere: ha acceso di devozione e speranza, in questo buio momento, le anime di molti marsicani, voltate all’unisono verso la loro buona stella più lontana.

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