
I dieci esemplari di camoscio appenninico trovati morti tra il 23 e il 24 aprile nel parco nazionale Abruzzo, Lazio e Molise sono stati uccisi da un fulmine. La conferma arriva dai portavoce del Parco.
I corpi esanimi degli animali furono conferiti all’Izs Abruzzo e Molise al fine di stabilire la causa della morte, anche perchè, come ricordano i portavoce del Parco, «l’episodio aveva destato molta preoccupazione, soprattutto perché il camoscio è una specie molto delicata e anche per la possibilità che poteva trattarsi di qualche forma epidemica di malattia». «Era quindi necessario – aggiungono i portavoce del Parco – stabilire con certezza e rapidità, compatibilmente con i tempi tecnici di accertamento, la causa di morte degli animali».
«Ovviamente – precisano i portavoce del Parco – sono stati avviati tutti gli accertamenti sanitari previsti nell’apposito protocollo sanitario in ambito [i]Life Coornata[/i], all’esito dei quali si può affermare con certezza, in base alle lesioni anatomopatologiche riscontrate sulla gran parte delle carcasse, che il decesso, praticamente in simultanea, dei 10 animali, è stato determinato dalla folgorazione di un fulmine».
Tali lesioni, «abbastanza caratteristiche e patognomoniche, sono caratterizzate dalla presenza di evidenti bruciature del pelo e da ustioni di secondo-terzo grado della cute, non rilevate immediatamente perché le carcasse degli animali, esposti alle intemperie, presentavano il vello bagnato e quindi scuro». Tali lesioni sono determinate dal «passaggio della corrente elettrica del fulmine che scorre sulla pelle, attraversa il corpo dell’animale e causa il decesso per arresto cardiaco». Le lesioni possono non essere presenti su tutti gli animali, ma «quando si verificano tali eventi, cioè decesso in contemporanea di molti animali su un’area di circa 400 mq e distanze massime tra camosci di 30 metri circa, il decesso è attribuibile sia all’azione diretta della corrente sull’animale (presenza della lesione patognomonica), sia all’azione indiretta, alla grave sensazione di panico e conseguente stato di stress acuto irreversibile».
«Possiamo quindi escludere qualsiasi malattia diffusiva di tipo infettivo – ha dichiarato dal direttore del Parco – e dai nostri accertamenti abbiamo appreso che l’evento, certamente non frequente, è comunque stato registrato anche in passato, come ricordato da anziani pastori di Civitella Alfedena, che hanno testimoniato circa casi simili avvenuti sul monte Sterpi d’Alto, che hanno provocato la morte di pecore al pascolo».
Il quadro interno riscontrato dalle analisi effettuate «è sovrapponibile per tutti i camosci analizzati, sia per i parassiti presenti che per l’assenza di virus o batteri». In ogni caso gli accertamenti di laboratorio delle dieci carcasse, condotti sia dall’Izs Abruzzo e Molise che dall’Università di Torino e di Barcellona (Sefas), consentiranno di aggiornare il quadro sanitario e parassitologico della popolazione di camoscio nel Pnalm.