
Sono 246 le cave attive in Abruzzo, che generano un volume d’affari pari a 20 milioni 69.327 euro, rispetto a un canone annuo pagato di 2 milioni 119.326 euro, 844 sono le cave dismesse o abbandonate. E’ quanto emerge dal “Rapporto cave 2014” di Legambiente, che sollecita a livello nazionale – 6mila cave attive in Italia e 17 mila abbandonate – un «piano cave e regole per tutelare il territorio», suggerendo anche di «puntare sul riciclo degli inerti per creare lavoro e nuove aziende della green economy».
In Abruzzo, come in Calabria, c’è la situazione più grave per le autorizzazioni, secondo Legambiente, poiché, in assenza di piani regionali, il potere è stato trasferito ai Comuni. A regolare il settore, ricorda l’associazione in una nota, è ancora un Regio Decreto del 1927 «con obiettivi chiaramente improntati a uno sviluppo economico oggi superato». In Abruzzo, inoltre, «si riscontrano rilevanti problemi per quadro normativo inadeguato, pianificazione incompleta e assenza di controlli sulla gestione delle attività estrattive».
In Abruzzo si estraggono annualmente un milione 605.550 metri cubi di sabbia e ghiaia, 16.350 metri cubi di pietre ornamentali, un milione 107.130 di calcare e 78.270 metri cubi di argilla. Le aree dove non si può praticare attività estrattiva sono i parchi nazionali e regionali, le riserve naturali, le aree nei pressi di corsi fluviali e a rischio idrogeologico, le aree di interesse archeologico.
«L’assenza del piano – dichiara Giuseppe Di Marco di Legambiente Abruzzo – crea una situazione di incertezza che non possiamo più permetterci visti gli interessi economici che si hanno nella gestione del ciclo del cemento e nel controllo delle aree delle cave. Ribadiamo la nostra contrarietà a qualsiasi autorizzazione per nuove concessioni – continua Di Marco – chiedendo di rafforzare la tutela del territorio e della legalità (attraverso controlli, individuazione delle aree da escludere e modalità di escavazione, obbligo di valutazione di impatto ambientale), di aumentare i canoni di concessione per equilibrare i guadagni pubblici e privati e tutelare il paesaggio, di accelerare l’utilizzo di materiali riciclati nell’industria delle costruzioni. Il tutto per andare nella direzione prevista dalle Direttive Europee e riuscire così ad aumentare il numero degli occupati e risparmiare la trasformazione di altri paesaggi».
Riguardo alle sanzioni, sono diverse da regione a regione. In Abruzzo per «coltivazione illegale» sono previste multe da 516 a 10.329 euro – a fronte per esempio di cifre da un minimo di 25.000 a un massimo di 250.000 euro previste dall’Umbria – e per ricerca illegale, per inosservanza delle prescrizioni e per errata comunicazione dei dati da 516 a 10.329 euro.