
di Valter Marcone
E’ come chiedere alla radio
di dire quello che vogliamo sentire,
è come chiedere alle sedie
di togliersi le scarpe e camminare
con le stampelle su molli pavimenti,
è come sognare ad occhi aperti
in attesa d’una speranza. Ci salvano
varianti estravaganti, vie incomprensibili,
tempo del dopo prima del prima,
illogici curriculum vitae
ad episodi frutto di un destino.
Non basta più l’erba ingiallita
a scontare questa nostra stagione:
il tempo passa anche per gli armadi
tristi in questa stanza di pietre nere,
s’alzano dalle radici di noce
d’una volta e più non sentono
il vento della loro giovinezza a foglie.
Chiuso in questa stanza
cerco varianti estravaganti
e scrivo tra veglie e riposi,
conto giorni e le solitudini degli alberi,
ascolto la radio che non dice quello
che voglio sentire.
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